Thailandia, la terra degli uomini liberi
La Thailandia è irripetibile: per le strade gli uomini camminano insieme agli spiriti del vento e “Chofa” arrotondati sugli spigoli dei tetti si contorcono nello spasmo – reale e simbolico – di toccare il cielo. È qui che arriva chi è alla ricerca della propria libertà. Marco De Renzis l’ha scelta per questo: perché questa è la “Terra degli uomini liberi”.
Marco, in compagnia di chi si fa un viaggio del genere?
Posibilmente da soli. L’avrei fatto anch’io, e non avessi avuto amici molto simili a me. Abbiamo scelto la Thailandia perché ci serviva provare un’alternativa che avesse qualcosa da insegnarci. La Thailandia è ideale, ti spalanca le porte di uno scenario esotico e bellissimo, di un mondo interiore praticamente inedito, non orientato al materialismo. Lì si vive con poco, costantemente a contatto con la propria interiorità.
Quali sono state le tappe del viaggio?
Abbiamo iniziato dal nord, la parte più rustica e contadina: siamo partiti da Chiang Mai per poi passare a Chiang Rai. Un mondo fatto praticamente di piante, punteggiate da villaggi minuscoli, che rilassa lo sguardo e la mente. Abbiamo visto le cime più alte del Paese: dalla loro vetta ci guardano le pagode buddiste. Quando le guardi non te ne senti sovrastato, piuttosto protetto. Poi siamo stati a Bankok, città contraddittoria: grattacieli sfarzosi accanto a squallide baracche; la ricchezza più ostentata fianco a fianco con la povertà nera. Una città di mercati e templi; noi siamo stati un po’ ovunque, abbiamo toccato il profano e provato a intuire il sacro ed entrambi hanno un sapore diverso da quello che conoscevamo. Anche nella sua parte più occidentale, la Thailandia non abbandona mai quel principio che ti fa capire una cosa fondamentale: la cura principale deve essere dedicata allo spirito, non al corpo.
Oltre a girare avrete anche fatto esperienze…
Tutte quelle che potevamo: trekking sulle montagne, poi imparare come allevare gli elefanti; li abbiamo lavati e abbiamo dato loro da mangiare. In Thailandia si combatte contro l’uso degli animali nel circo: ci siamo uniti alla loro lotta ed è stato come far parte di un mondo più autentico, più rispettoso verso l’ambiente. Abbiamo assaggiato le loro ricette: insetti fritti, pesci ambigui, frutti esotici. Anche i loro piatti sono contraddittori: abbinano il dolce all’aspro, il salato al piccante usando ingredienti semplici come il riso e il pollo, ma in modo pittoresco. Ci siamo calati nella loro cultura gastronomica senza rimpiangere la nostra, evitando qualsiasi cosa che ci facesse sentire europei.
Ci siete riusciti?
Non a Bankok: Bankok è pensata per accogliere turisti, perciò trovi cheeseburger e ti sposti in taxi. La parte a nord invece è un’altra cosa: lì entri davvero nel cuore pulsante della Thailandia. Un mondo rurale con un turismo frugale ma anche più ragionato e positivo. L’unica cosa che puoi fare è ritrovare la coscienza di te stesso.
È davvero la terra degli uomini liberi?
Nella parte più interna si è liberi dal concetto di predominio sull’altro e si vive in modo comunitario. Si avverte il contatto con l’anima del mondo che ti libera dalle scadenze, dalla competitività, da quella ricerca spasmodica di una condizione migliore.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Un senso di spiritualità che non pensavo di avere. La cultura thailandese si basa su una visione del mondo spirituale, sull’accettazione della propria condizione, dell’intermittenza della vita umana rispetto al flusso costante della natura. Questo popolo ha la capacità di capire realmente che siamo di passaggio e che non dobbiamo fingere di essere eterni.
È un viaggio da fare solo una volta nella vita?
Forse. Ma io lo rifarei. E credo proprio che lo prolungherei.