SESSUOLOGO:”Liberi, ma non troppo”

Liberi, ma non troppo

 

La sessualità appare oggi più libera da tabù e restrizioni morali, ma tanti passi, ancora, restano da compiere riguardo a quella femminile, all’omosessualità, al mondo transgender e a ogni declinazione dell’orientamento fuori dall’ordinario.

A cura del dott. Daniele Bonanno – AISPS – Roma

Omosessualità, transgender, donne… Se sono queste le tematiche storicamente più aggredite da discriminazione e pregiudizio, dobbiamo riconoscere che molto è stato ottenuto e che, nonostante i numerosi ostacoli politici e sociali, il cambiamento culturale sembra ormai in atto.

Nell’ambito delle minoranze sessuali esistono realtà meno note, si tratta di una sessualità “invisibile”, considerata marginale ma effettivamente condivisa da moltissime persone in forme diverse, accomunate dall’approfondire territori non ordinari dell’erotismo.

Si tratta di comportamenti e preferenze spesso attribuite a una sessualità malata, bizzarra e pervertita da un pregiudizio morale che si inasprisce proporzionalmente a quanto un determinato modo di vivere il sesso si allontana da parametri convenzionali improntati su una sessualità procreativa. Storicamente tale pregiudizio ha influenzato la scienza e la psichiatria contribuendo al confondere il peccato con la patologia, il giudizio morale con la diagnosi.

Il primo trattato scientifico sul comportamento sessuale umano è la “Psychopathia Sexualis” di Richard Von Krafft-Ebing pubblicato nel 1886. Nonostante il grande merito storico, l’opera dello psichiatra tedesco si basava sulla descrizione, catalogazione e nomenclatura di comportamenti diversi dal modello riproduttivo classificati come perversioni sessuali di origine psicopatologica.

Con la nascita della psicanalisi Sigmund Freud descrisse la sessualità infantile come “perversa polimorfa” ad indicare come le prime forme di erotizzazione non si focalizzassero sul rapporto sessuale ma su “oggetti” ancora indifferenziati e destinati a cambiare in base alle fasi dello sviluppo. Nonostante i passi avanti la psicanalisi ha confermato come patologica una sessualità adulta ancora focalizzata su forme di eccitazione “pregenitali” cioè diverse dall’espressione matura del rapporto penetrativo.

Nelle sue revisioni il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) ha sostituito il concetto di “perversione sessuale” con quello di “parafilia” per superare la connotazione negativa e moralizzante. Nella sua più recente edizione, il DSM V, le parafilie sono state depatologizzate e distinte dai “disturbi parafilici” che rappresentano condizioni patologiche riguardanti situazioni in cui la parafilia è fonte di profonda angoscia non soltanto per via della disapprovazione sociale: causa disagio fisico o psichico, prevede comportamenti nocivi o coinvolge persone non consenzienti e non in grado di esprimere un consenso come nel caso dei bambini.

I disturbi parafilici richiedono un adeguato trattamento medico e psicologico a differenza di parafilie e comportamenti sessuali atipici riconducibili a una normale variabilità dell’espressione sessuale umana.

Nonostante queste acquisizioni il pregiudizio e la diffidenza ancora diffusa rende tutt’altro che semplice, per chi vive una sessualità atipica, esprimerla e condividerla.

Come sessuologo rilevo la significativa sofferenza di molti giovani che faticano a integrare nella propria vita preferenze sessuali con connotazioni parafiliche per paura del giudizio e del rifiuto.

Tematiche frequenti come il feticismo del piede o la preferenza per pratiche BDSM vengono spesso taciute al partner e confinate in fantasie che suppliscono alla carente eccitazione del rapporto tradizionale oltre a essere vissute attraverso siti porno dedicati, community online e rapporti a pagamento. Nel caso di forme parafiliche più insolite e meno note, ciò accade in modo ancora più netto: eccitarsi fingendo di essere un bebè o indossando lingerie dell’altro sesso possono incontrare maggiore vergogna e difficoltà nell’essere confidate. In questo modo l’espressione di aspetti non convenzionali della propria sessualità viene vincolata a sensi di colpa e clandestinità che contribuiscono a confermarli come “sbagliati” e da nascondere in una sorta di profezia che si autorealizza.

Quando la sessualità atipica rende particolarmente difficile accedere a una vita affettiva e relazionale, può derivarne uno stato depressivo con comportamenti a rischio e autolesivi.

Il supporto sessuologico ha in genere l’obiettivo di integrare le preferenze parafiliche con altri aspetti della propria sessualità e affettività acquisendone padronanza e consapevolezza, piuttosto che puntare a eliminarle o ricondurle a una norma.

Tipicamente la parafilia ha origine nel corso dell’infanzia per vicende di erotizzazione precoce che possono aver avuto o meno una valenza traumatica. Ricostruirne le radici può contribuire a contestualizzarle emotivamente, ma non deve significare la ricerca di una eziologia sul modello patologenetico. In fondo buona parte delle nostre caratteristiche di personalità ha legami con il passato e spesso con aspetti non lineari e sfide evolutive rispetto alle quali hanno rappresentato risposte adattive e funzionali.

È importante che la nostra cultura sessuale possa far propri i progressi scientifici degli ultimi anni normalizzando e rispettando fino in fondo le differenze.

Qualunque sessualità tra adulti consenzienti che non ne metta a rischio l’incolumità merita eguale dignità e libertà d’espressione in ogni sua declinazione.

 

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