Sesso “sparlato”
Il linguaggio verbale coinvolge livelli comunicativi che vanno ben oltre il semplice contenuto manifesto. Significanti impliciti e inconsci accompagnano sempre la scelta delle nostre parole. Cosicché il sesso “parlato” può diventare paura, aggressione, biasimo, pregiudizio, rivalità tra i generi.
A cura del dott. Daniele Bonanno – AISPS – Roma
Un termine può assumere un significato convenzionale diverso da quello letterale conservando nelle risonanze emozionali riferimenti all’etimologia e al senso originario.
Nella sua ricchezza di sfumature emotive, sociali e culturali la sessualità si presta più di qualsiasi altro ambito a evocare “doppi sensi”, spesso intenzionali e molte volte inconsapevoli.
Possiamo chiamare “malizioso” l’atteggiamento di una persona per descrivere un’interazione sensuale e seducente. Considerato che “malizia” deriva dal latino “malus” ovvero malvagio, incline a commettere il male, è inevitabile che sotto soglia, inconsciamente, entri in gioco un messaggio emozionale implicito contenente un pessimo giudizio.
Il ricorrere di questo tipo di ambivalenze quando si parla di sesso denota una cultura sessuale non del tutto rasserenata che ha nascosto sotto il tappeto pregiudizi e tabù irrisolti.
Pensiamo a come ciò che è sessuale possa essere definito sconcio ovvero sgraziato, indecente. Il termine di origine biblica “scandalo” o “scandaloso” è spesso riferito a condotte sessuali e indica ciò che è “di inciampo”, di cattivo esempio. In ambito giuridico comportamenti sessuali in pubblico vengono definiti “atti osceni” cioè immondi, ripugnanti, infausti.
Nel linguaggio comune sono abituali le metafore zoologiche in cui si associano a suini (porco/a, maiale/a) persone disinibite a letto per le quali si usa far riferimento diretto a una scarsa pulizia con termini come sozzo/a, riferibili anche a film, riviste o libri a contenuto sessuale.
La maggior parte degli insulti, parolacce e termini offensivi hanno connotazioni sessuali correlate a ciò che è sporco e indicibile. Pensiamo al riferimento volgare ai genitali maschili e femminili usato per etichettare persone disprezzate o poco furbe o alla preoccupante abitudine di tirare in ballo l’omosessualità come forma di insulto verso interlocutori di sesso maschile. L’omosessualità resta d’altronde protagonista di battute di spirito, doppi sensi o appellativi scherzosi in forme solo apparentemente più innocue. Ciò alimenta un filone culturale omofobo e gravemente offensivo non solo per chi è gay ma per chiunque creda in una libertà sessuale che inevitabilmente o è di tutti o di nessuno.
Un analogo discorso riguarda il giudizio di cui è vittima una donna per i suoi comportamenti sessuali, per l’atteggiamento o l’abbigliamento che possono bastarle per essere etichettata come prostituta. Lo stesso succede per l’insegnante troppo severa, la collega non troppo simpatica, la ragazza al volante che ci ha fatto uno sgarbo e così via. L’offesa verso una donna finisce quasi sempre per tirare in gioco la sua sessualità anche quando non c’entrerebbe affatto. Componenti aggressive del linguaggio comune tradiscono nodi celati nella nostra cultura sessuale e in questo caso il persistere di quella paura e rabbia verso un femminile sessuato che rivela una misoginia da caccia alle streghe.
Nei moderni sviluppi della sessuologia teniamo in grande considerazione gli effetti del linguaggio. Nei manuali diagnostici il termine “parafilia” ha preso il posto del vecchio concetto di “perversione sessuale” che tendeva ad associare una connotazione negativa e moralizzante alle forme di sessualità alternativa.
Con simile attenzione terminologica si preferisce oggi parlare di autoerotismo piuttosto che di masturbazione, termine che conserva un’aurea di vergogna e colpevolezza derivando d’altronde da “manu – stuprare” cioè stuprare, violare, contaminare con la mano. A proposito di sensi di colpa “onanismo” indica sia l’autoerotismo sia il coito interrotto e ci riporta a Onan, personaggio biblico la cui abitudine di disperdere il seme provocò l’ira divina costandogli la vita. Nella mia esperienza di sessuologo osservo in effetti come l’autoerotismo resti una delle tematiche sessuali che ancora oggi cela maggiore imbarazzo e senso di colpa latente.
Continuando con gli esempi linguistici in Svezia si è introdotto il concetto di “corona vaginale”, molto più descrittivo dell’anatomia femminile rispetto al termine “imene” che nel tempo si è associato all’immaginario di un passaggio traumatico e doloroso e altri falsi miti intorno alla verginità femminile.
Il linguaggio simbolizza e contribuisce a costruire la nostra la realtà condivisa, il vissuto che abbiamo di noi stessi e degli altri. Per questa ragione la revisione di abitudini comunicative fondate su una concezione distorta e moralizzante della sessualità può contribuire a un cambiamento culturale che ancora fatica a emanciparsi da vecchi tabù e pregiudizi.