RITRATTO DI DONNA: Parisa Nazari

“Le donne cha hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla se non la loro intelligenza”. Sono parole di Rita Levi Montalcini che oggi, nell’epoca dei selfie, dei ritocchi e dell’immagine al di sopra di tutto sembrano cadere nel vuoto. Fortunatamente non è per tutte così: in questa rubrica vi presenteremo donne che hanno idee, progetti, passioni. Più che apparire fanno; più fanno e più sono donne. Succede anche a Parisa Nazari.

 

Parisa Nazari, l’attivista iraniana con una missione coraggiosa

 

A cura di Ludovica Leonardi

 

Farmacista, interprete, mediatrice culturale (e mamma), Parisa Nazari è un’attivista che sostiene in prima linea il coraggio e la resilienza delle donne iraniane. Amante della letteratura che le ha permesso di scoprire un mondo libero, Parisa cerca di essere l’eco delle voci spezzate di donne che gridano aiuto contro violenze, violazioni e repressioni. Un’intervista intensa a una donna che tutti i giorni, con umiltà e forza, combatte a distanza (di chilometri, non di animo).

Quando ha iniziato a percepire che alcune situazioni che stavano accadendo in Iran erano inaccettabili?

Mi ricordo quando arrestarono un amico di famiglia condannandolo a morte: avevo quasi cinque anni e non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lui. In quel momento capii che era accaduto qualcosa di molto grave che non doveva succedere. Chi vive in Iran, percepisce fin da subito le situazioni ingiuste e la violazione dei diritti. Io ero giovane, ma sapevo che tutto ciò non era quello che volevano i miei genitori, che aspiravano alla libertà. Crescendo, la mia famiglia mi ripeteva di stare attenta e di rimanere in silenzio per evitare conseguenze pericolose.

Cosa provava da piccola quando iniziavano a verificarsi queste situazioni?

All’epoca Internet non esisteva e io non conoscevo altre realtà diverse dalla mia. Solo con il tempo ho maturato la consapevolezza che ciò che stava succedendo in Iran fosse una situazione anomala. Ho scoperto l’esistenza di un mondo senza ingiustizie grazie ai racconti dei miei genitori (che hanno vissuto in un periodo più libero) e grazie alla letteratura: ho cominciato a leggere molto presto, divoravo libri, e avevo sete di sapere e di conoscere. Ho avuto la fortuna di poter accedere a librerie ricche (fatto del tutto raro perché numerosi libri erano proibiti), e questo mi ha permesso di immaginare un mondo diverso.

Quando è arrivata in Italia come è stata accolta?

Mi sono subito sentita a casa. Mi ritengo fortunata perché fin da subito ho instaurato amicizie con persone affini a me, senza sentirmi straniera o discriminata. Anche in questo caso, mi ha aiutato l’amore per la letteratura: ho frequentato associazioni culturali e trovato compagni di università che condividevano i miei stessi interessi. Penso di essermi sentita subito accolta perché italiani e iraniani sono due popoli molto simili dal punto di vista culturale e umano.

Ci parli dell’associazione “Donne di carta”.

Circa tredici anni fa ho iniziato a collaborare con questa associazione che promuove la letteratura tramandando una tradizione legata al libro di Ray Bradbury, Fahrenheit 451: impariamo a memoria i libri e li recitiamo (ci chiamiamo “persone-libro”). Quando ho scoperto che stavano diffondendo le poesie di Forough Farrokhzad (1934-1967), soprannominata “poetessa del peccato” dal clero sciita iraniano dell’epoca perché molto moderna e diversa dalle donne del suo tempo, mi sono subito aggregata a loro e, insieme alle persone libro, sono diventata, in un certo senso, l’ambasciatrice in Italia della mia poetessa iraniana preferita.

Quali sono le difficoltà che incontra mentre porta a termine la sua missione?

La più grande difficoltà è quella di far conoscere il vero volto dell’Iran, cioè quella società civile giovane, progressista e istruita che si dissocia dal regime e da come viene spesso vista dall’immaginario collettivo. L’Iran è un paese che merita la democrazia perché avanguardista. I giovani iraniani guardano il mondo attraverso i social e sognano una vita come i loro coetanei nelle metropoli occidentali, senza proibizioni, rischi, arresti, incriminazioni solo per aver mostrato una ciocca di capelli, tenuto per mano il proprio fidanzato, ballato o fatto musica.

Che cosa significa avere coraggio di parlare sapendo che si rischia molto?

Non mi ritengo coraggiosa perché so che qui in Italia sono al sicuro. C’è da dire però che a volte subisco attacchi e accuse piuttosto forti sui social dagli haters, che chiamo “leoni da tastiera”: esponendomi e dando voce al mio popolo, c’è sempre chi ha un’altra visione della realtà e non ama il mio approccio. Il giorno in cui ho pensato che forse dovevo smettere di denunciare, mi sono fatta forza pensando al coraggio delle donne iraniane che non si danno per vinte. Avendo la fortuna di vivere in un paese in cui mi sento protetta dallo Stato, mi sembrava doveroso non fermarmi. Se posso attribuirmi un singolo merito, è proprio quello di non aver rinunciato alla mia missione!

Cosa sarebbe successo se fosse rimasta nel suo Paese senza venire in Italia?

(Ride). Se fossi rimasta in Iran, sicuramente sarei stata già arrestata più volte. Parlavo, scrivevo e denunciavo già dai tempi della scuola, rischiando molto. Uno dei motivi per cui non vivo più in Iran è proprio questo: sarei diventata quella che oggi viene definita una “testa calda”.

Cosa consiglia alle giovani ragazze di oggi che stanno formando la loro opinione?

Gli consiglio di non dare per scontate le loro libertà, conquistate grazie alle battaglie delle generazioni passate, altrimenti, come successo in Iran, si perdono i diritti acquisiti. Inoltre, non devono pensare che quello che succede in Iran sia lontano e non gli appartenga: anche se c’è una distanza geografica, la battaglia delle donne iraniane appartiene a tutte le donne che hanno ideali di libertà e democrazia. I giovani non possono rimanere indifferenti davanti ai loro coetanei che a qualche migliaio di chilometri di distanza vivono come loro e hanno le loro stesse aspirazioni, ma rischiano ogni giorno di essere arrestati, incriminati e torturati: questo dovrebbe indignare chiunque. È importante saper guardare fuori dal proprio orticello, sentirsi vicini a tutti i popoli che lottano per la libertà e la democrazia, e desiderare di voler e poter fare qualcosa per loro.

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