RITRATTO DI DONNA: “Marina Paterna”

“La libertà non ha i capelli sciolti”

 

Trentasei anni, quasi trentasette. Giovane quanto basta, adulta ma non troppo. Perché Marina sa ancora vestire i panni di bambina, una di quelle curiose che ti guardano, ti fissano e poi – vedendosi osservate – abbassano gli occhi. Abbassa gli occhi, Marina, perché pur nutrendosi di spettacolo, pur sedendo spesso sulla sedia da regista, non ama i riflettori, non sopporta gli obiettivi troppo vicini, invadenti.

Una donna, certo. Ma quando si parla di lavoro non è questa la prima definizione che deve uscir fuori. La donna c’è, certo che c’è; ma non si deve guardarla solo in quanto tale. Invece noi lo facciamo troppo spesso: prima la donna, il bell’aspetto, la femminilità e dopo, molto dopo, il lavoro, le passioni, i progetti, i sogni.

Con Marina non attacca. “Anche per questo, quando lavoro, tengo i capelli legati”. Oggi fa uno strappo alla regola. Un’eccezione che le costa fatica; cosi come è faticosissimo, per lei, accettare la presenza del nostro fotografo che la inquadra, la disseziona per la “posa” migliore.

“Ebbene sì – conferma lei –mastico spettacolo da sempre ma non sono capace di “dare” spettacolo. Non amo farmi “guardare”…”.

Marina è siciliana e toscana: siciliana perché papà e mamma sono dell’Isola; toscana perché è nata a Volterra, città dove il padre faceva il cancelliere in Pretura. Siamo nel 1982, Marina nasce a marzo; un po’ più a sud, qualche mese dopo, il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e sua moglie muoiono crivellati di colpi per mano di “cosa nostra”. Passeranno altri giorni, pochi, e il cancelliere Paterna sarà trasferito proprio in quella Palermo insanguinata e calda. Un calore innaturale, di piombo, di paura.

“Già a 17 anni ero convinta di voler fare l’attrice. Mi resi conto, però, che quello era un mondo complicato. Le accademie, i provini, gli esami sempre più impegnativi… Studiavo da sceneggiatrice e, nel frattempo, lavoravo come assistente alla regia; sui set di Tornatore, per esempio. O su quello di Tavarelli per la fiction su Paolo Borsellino”.

 

Marina lavorerà anche con Marco Risi (L’ultimo padrino), con Vincent Aranda al fianco di Giancarlo Giannini, con Ficarra e Picone, con Geraldine Chaplin… Ma doveva, voleva guardare oltre, raccontare la Sicilia più intensa, più vera, più “ferita”. L’Isola che doveva scrollarsi di dosso le mille pallottole di chi, sparando, voleva impadronirsene impunemente; impadronirsi dell’Isola, del Paese tutto e non solo. Ed ecco il suo cortometraggio “Io vivo” dedicato al piccolo Giuseppe di Matteo, fatto uccidere e poi sciogliere nell’acido perché figlio di un pentito. Dal “corto” al film da lei sceneggiato (“Io sono vivo”, ancora 2009)

Scrittrice, giornalista, regista, sceneggiatrice… Tanto impegno, tanta passione. E la fortuna? C’è stata?

“Un pizzico di fortuna c’è sempre. Succede quando ti trovi per caso al posto giusto nel momento giusto; o quando ti arriva una telefonata che non ti aspetti più. Quando ho consegnato il dvd del mio “corto” ero fuori tempo massimo, sicura di non essere “pescata”. Invece mi han pescata, sono andata a Roma; i miei erano contenti, la Sicilia era poco respirabile, al tempo.”

 

C’era però anni prima chi respirava a pieni polmoni e lavorava per ridare dignità all’Isola, al Paese, alla Giustizia. Per esempio Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che Marina vide – di sottecchi – nell’ufficio di suo padre. Questi le disse: “Li vedi? Quei due cambieranno la storia”.

“Quei due – racconta Marina – a me che avevo solo cinque anni mi sembrarono due imperatori, due angeli, due entità intangibili ma ferme, granitiche, indistruttibili. Crescendo, e conoscendoli, non ho cambiato idea e, come ho scritto nel mio libro, le loro idee camminano sulle nostre gambe”.

Il libro di cui parla Marina è “Ho sconfitto la mafia, io sono vivo!”. Ancora il piccolo Di Matteo, ancora la storia, le storie che dobbiamo raccontare e raccontarci per imparare a vivere ed imparare, soprattutto, a non soccombere sotto i colpi del ricatto, della paura, del buio in pieno giorno.

Oggi molte ragazze provano ad emergere solo con la forza dell’immagine. Per te come è andata? Cosa significa per Marina essere donna?

“Essere donna è un percorso lungo, non ci si arriva subito. Significa comunque fare delle scelte; significa dire no, spesso e volentieri. Essere donna, per me, è anche star lontano dalle luci, dall’obiettivo, dai fotografi. Ecco: essere donna, non solo apparire donna”.

Quali libertà e quali “prigioni” ti hanno dispensato in famiglia?

“Se oggi non fumo e non assumo nulla di… stupefacente è anche per merito di mamma e papà. Severi? Assolutamente sì, ero molto meno libera degli adolescenti di oggi. Soldi solo per studiare, tutto il resto era affar mio. E “il resto” me lo guadagnavo facendo l’hostess; dove? Ai convegni antimafia…!”.

 

Marina scrive, recita, dirige. Poi produce: lo fa con Mednet, casa di produzione della quale è amministratore e direttore creativo. Marina racconta e smuove le coscienze; lo fa scrivendo o “girando”. A noi l’onore di leggere, di guardare.

L’importante, per lei, è stare dietro l’obiettivo. Davanti? Meglio di no; meglio legare i capelli.

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