Stadi agonizzanti, voragini e gufi fortunati
- Girarsi e rigirarsi; nel letto, o per strada di mattina presto, quando tutti vogliono dar l’impressione che non è presto, è tardissimo. Girando e rigirando per Roma: la vedi e non la vedi, la ammiri e la deridi. I sogni – e gli incubi – di una città che da duemila anni ci fa venir sonno e ci sveglia di soprassalto.
Tre pensieri alla volta, brevi, secchi. Pensieri capitali.
Nervi all’ultimo stadio
Nato nel 1958 dalle ceneri del “Nazionale”, lo Stadio Flaminio è oggi un catino pieno di erbacce, serpenti e ruggine. Progettato dagli architetti Pier Luigi e Antonio Nervi, padre e figlio, l’impianto è oggi il fantasma di sé stesso. E pensare che una volta, da queste parti, si giocava e si suonava: rugby, calcio e grande musica (i Pink Floyd, Michael Jackson, David Bowie, i Duran Duran, gli U2, Prince e tanti altri tennero qui i loro concerti negli Anni 80).
Cosa vuole fare Roma del “Flaminio”? Non si sa, anche se da qualche mese la Facoltà di Architettura della Sapienza sta studiando un progetto di ristrutturazione.
Nel frattempo noi passiamo sulle rampe e lo guardiamo come un rudere, uno dei tanti. E con tutto il rispetto per i due defunti architetti veniamo assaliti dai… nervi.
Passeggiata ai fori
C’è quello di Traiano, quello di Augusto, quello di Nerva… Insomma i Fori Imperiali, che fanno di Roma un luogo irripetibile e magico. Dai Fori alle buche: ci son cascati dentro tutti i sindaci, da Ernesto Nathan a Virginia Raggi; ognuno di loro ha declamato soluzioni, progettato interventi, accampato scuse. Niente da fare: la Capitale è un colabrodo, oggi come ieri. E nella Capitale, guidando, si deve andare a “trenta”. È questo il limite imposto su decine di strade inesorabilmente “forate”.
In Campidoglio, da duecento anni, si vince e si perde sull’orlo di una buca; un immenso biliardo dove qualunque sindaco, prima o poi, abbandona il tavolo. Tanto meglio per i turisti; loro non ci abbandonano e – come sempre – passeggiano ai fori. Anche quelli con la “effe” minuscola.
Gufi che non gufano
Sciascia scrisse “Il giorno della civetta”. Ma a Villa Borghese, lo scorso 16 marzo, abbiamo avuto il giorno del gufo: un gufo vero, in penne e piume, soccorso da una pattuglia della Polizia di Stato. Stanco e indebolito, il gufetto è venuto giù senza più forze dal ramo di un albero, rischiando di finire tra le fauci del primo gatto di passaggio. Invece del gatto, per sua fortuna, passava in quel momento l’autoradio della PS che – guarda un po’ – ha come sigla “Nibbio”. Pulcino e mamma (anche quest’ultima, non in ottima forma, svolazzava nelle vicinanze) sono stati amorevolmente rifocillati e curati.
Tutto è bene quel che finisce bene; così è andata per Nibbio, gufa e gufetto, alla faccia di chi vede Roma perennemente immersa nelle tenebre.
Ci voleva, per una volta, un gufo che non… gufa.