Marco Elser: da New York al… Polo
Niente ghiaccio, non siamo sull’Artide o sull’Antartide: siamo, invece, all’Acquedotto Romano Polo Club di Montecompatri, meno di un’ora da Roma. Qui incontriamo Marco Elser, uno dei proprietari della tenuta, fondatore del Circolo, già finanziere affermato, già newyorkese, già tanto altro ma, soprattutto, amante del Polo e della Natura, quella con la N maiuscola.
Marco Elser lo incontriamo nel bel mezzo del suo mondo; quello che lui ha fortissimamente voluto, inventato, creato: la proprietà che negli anni, insieme al fratello, ha trasformato in un piccolo paradiso immerso nella natura a pochi passi da Roma.
Prima di rispondere alle domande tiene a farci visitare la tenuta; la bellezza del luogo, in un attimo, ci rapisce, ci cattura piacevolmente. Quello che tuttavia più ci colpisce è la passione, la premura che Marco Elser spende nel gestire e “curare” questa realtà.
Non vediamo solo un campo da Polo: vediamo un paesaggio e ci prefiguriamo ore, giorni di relax lontani da tutto; Roma compresa.
Partiamo con una domanda necessaria: chi è Marco Elser?
Inizio dicendo che sono metà italiano e metà americano. Sono nato a Roma, ma prima della seconda elementare la mia famiglia decise di trasferirsi a New York. Abbiamo vissuto lì per qualche anno, poi abbiamo fatto nuovamente ritorno a Roma. Ho intrapreso gli studi Universitari a Boston, dove mi sono laureato e successivamente ho fondato una società. Società che, due anni dopo, ho deciso di vendere: avevo voglia di tornare a Roma.
Una volta tornato a Roma com’è nata la passione per il Polo?
Ottima domanda Giorgia; ti racconto com’è andata e vedrai che ti farò ridere: era il mio 37esimo compleanno e stavo attraversando un periodo particolarmente triste della mia vita, mi stavo separando da mia moglie e Manuela Liverzani, mia carissima amica, decise di regalarmi una frusta. Un regalo particolare, pensai.
“Marco, non ti agitare – precisò subito Manuela –: non è la frusta che pensi tu. È un frustino da cavallo; nello specifico, per il polo”.
Le risposi che non sapevo nemmeno montare a cavallo, figuriamoci giocare a polo…!
Ad ogni modo nacque in me la curiosità ed iniziai così a prendere lezioni di equitazione. In breve mi appassionai e… E oggi eccomi qui. Ovviamente alla mia amica ho fatto un monumento!
Quindi è stata la passione che le ha fatto venire la voglia di avere un campo da polo tutto suo o c’è dell’altro?
All’inizio avevo solo il problema dei miei cavalli: tenerli nei box aveva un costo spropositato. Mio fratello ed io allora decidemmo di cercare un posto nostro dove ospitarli.
Poi un giorno, chissà se è stata la fortuna, mi arrivò la proposta di acquistare il terreno dove ci troviamo. Lo andai a vedere e fu amore a prima vista.
Visitando questo luogo, ovunque si volga lo sguardo, si avverte l’amore che lei ha per la natura. Cosa ci può dire in proposito?
Ho lasciato l’America per tornare in Italia perché questo è un paese magnifico, decisamente tra i più belli. Spesso, però, non riusciamo ad apprezzarlo del tutto, e mi dispiace. Il rispetto per la natura, oggi, è imprescindibile.
Replicare un posto simile a New York sarebbe stato impossibile, tranne, ovviamente, se ti chiami Bill Gates…
Da queste considerazioni ho reputato importante preservare questo piccolo angolo di paradiso.
Gli alberi che ci circondano, per esempio, li abbiamo piantati quasi tutti noi e ne pianteremo ancora.
Dopo la natura, i cavalli: il loro bene, il loro benessere è per noi fondamentale. Anche per questo nel campo da polo abbiamo deciso di usare la gramigna, un tipo di prato che evita agli animali di farsi male. Abbiamo anche una piscina tutta per loro, una specie di Spa equina!
Facendo un passo indietro: cosa sognava Marco Elser da piccolo? Aveva previsto tutto questo?
Assolutamente no. Ho perso mio padre quando avevo 16 anni, mi domando spesso dove sarei ora se lui fosse ancora vivo. Ma la risposta in fondo la conosco: sicuramente non qui a Roma a “godermi la vita” come sto facendo. Probabilmente sarei rimasto in America, seguitando a lavorare in ambito finanziario. Senza dubbio avrei avuto molto più denaro ma non credo sarei stato felice come ora. Sai perché? Perché ho fatto una scelta libera, spontanea ma, allo stesso tempo, cosciente. Questo mi ha permesso di trovare ciò che volevo, ossia una qualità di vita superiore, un posto sereno dove far crescere la mia famiglia.
Mi viene spontaneo pensare che, dovendo dare un suggerimento ai giovani, sarebbe quello di puntare più sulla qualità che sulla quantità; o sbaglio?
Oggi i giovani devono assolutamente puntare sulla qualità della vita approfittando degli strumenti che hanno. Ma una cosa non devono mai scordare: i valori, quelli con la V maiuscola, sono fondamentali.
Un altro consiglio? Non aver paura di ciò che non si conosce, di quello che banalmente definiamo “straniero”. Io, ad esempio, sono 37 anni che vivo in Italia, ho un permesso di soggiorno, sono un extracomunitario e ci tengo a sottolinearlo. Questo è per far capire ai giovani che siamo tutti uguali, la paura dello straniero è un errore.
Come si dice a Roma? “Volemose bene”; e poi ricordiamoci che qualunque “sconosciuto” potrebbe diventare, domani, un ottimo amico. Insomma, le cose vanno guardate nel loro giusto verso. Con, in primis, tanto ottimismo.
Quanto ha dovuto “faticare” per arrivare fin qui? Quali ostacoli ha incontrato, quali rinunce ha dovuto sopportare?
Beh, come dicevo prima ho dovuto rinunciare a parecchie cose tra cui la mia vita in America, l’azienda che avevo fondato e forse una splendida carriera nell’ambito finanziario. Però non mi pento di nulla, le rinunce fanno parte della vita.
Il tempo che ci ho messo? Ebbene sì, ce n’è voluto tanto. Tutto quello che vedi qui intorno è frutto di lavoro e impegno di parecchi anni. Per prima cosa ho pensato alla costruzione delle case per i manutentori, le scuderie per i cavalli, il campo da polo e poi alle fine di tutto – dodici anni dopo – ho pensato a casa mia.
Le vere soddisfazioni arrivano con il tempo, il “tutto e subito” non funziona.
Si dice spesso che nella vita per realizzare i sogni ci vuole anche un po’ di fortuna… lei che ne dice?
Per rispondere cito Gary Player, un giocatore di golf: “The harder you practice, the luckier you get”; Più faccio pratica, più sarò fortunato.
Se nella vita non ti applichi con costanza non darai mai modo alla fortuna di raggiungerti. Bisogna impegnarsi, cambiare mentalità creando un vortice di positività che ti darà la carica per fare sempre meglio. Ancora: essere flessibili senza perdere l’ago della bussola che, come dicevo prima, sono i valori. Questo è ciò che cerco di trasmettere ai miei figli e ai miei nipoti.
Prima le ho chiesto dei suoi sogni da bambino; ma adesso, oggi cosa sogna Marco Elser?
Cosa farò da grande? Quando la gente mi chiede l’età non dico mai 62 “years old” ma 62 “years young”; non è una battuta fine a sé stessa: è che non mi sento anziano, forse tra 30 anni lo sarò… (sorride, Ndr). Torno alla domanda: vorrei continuare a fare crescere e migliorare questo posto un passo alla volta, contando solo sulle nostre forze. Qui non cerchiamo un tornaconto economico, ci tengo a dirlo, ma solo il piacere e l’amore per la natura, che onestamente valgono molto più del denaro.
Ancora un consiglio per i giovani: mai fare il passo più lungo della gamba, perché molto probabilmente si finisce per cadere.
Dove mi vedo tra trent’anni? Giocando a polo, magari un po’ più piano (mi sono rotto quasi tutto) e poi la soddisfazione più grande sarebbe quella di poter giocare con i miei figli e magari anche con i miei nipoti, tutti insieme. Questo sì, indubbiamente, non ha prezzo.
In conclusione: ha qualche rimorso o rimpianto?
In realtà sono profondamente grato di quello che ho avuto e ringrazio il Signore per quello che mi ha donato. Cerco sempre di accettare le cose anche quando non vanno come vorrei.
La mia filosofia è “Quando si chiude una porta, ti si apre un portone”; se si inizia tutti a pensarla così potremmo notare che a volte da certe “sfortune” si possono ricavare grandi opportunità.
Concludo dicendo che è necessario essere sempre pronti a rialzarsi, e nel caso, anche ripartire da zero.
Mi rispecchio molto nel “Be different”, un po’ come voi e il vostro magazine…