Andrea De Angelis: quando la salute si fa impresa
Impresa lungimirante. Impresa e sfida; una di quelle capaci di andare oltre. Oltre lo status quo, oltre il concetto di “clinica”. Succede a Roma: succede che la sanità si fa impresa e la Capitale scoppia di salute.
La salute; quella “pubblica” e quella “privata”. La salute va oltre i camici, oltre le diagnosi, le terapie, le somministrazioni, la chirurgia, le cartelle cliniche. La salute – quella nostra – passa anche da chi la “produce”. Il verbo produrre non è appropriato? Forse no; eppure anche la salute, la medicina vanno organizzate; hanno la loro logistica, i loro bilanci; hanno i “numeri” da guardare, da migliorare, da correggere.
Come sta, in Italia, la salute? Sta meglio di prima ma – forse – è ancora un po’ convalescente, ogni tanto febbricitante. Ma qui non si parla del Servizio Sanitario Nazionale. Si parla, invece, di chi con la salute ha costruito, inventato un nuovo modo di accogliere, di curare, di organizzare tutti i percorsi della “filiera”.
Per esempio Andrea De Angelis; per esempio le case di cura Mater Dei e Paideia. Chi non le conosce? La clinica Mater Dei, tanto per dire, ha campeggiato spesso anche sul grande schermo a cominciare dagli Anni sessanta. Una citazione su tutte: nel film “I complessi”, episodio “Il complesso della schiava nubiana” l’attrice Claudie Lange (nel film moglie di Ugo Tognazzi) partorisce alla Mater Dei.
Dicevamo Andrea De Angelis, classe 1962, AD delle case di cura Paideia e Mater Dei. Due realtà consolidate in quel di Roma nord (la Mater Dei a via Bertoloni, la Paideia al Fleming, via Tiberio). Negli anni, nei decenni, in queste strutture hanno prestato servizio i migliori “camici” di Roma e non solo.
Ma il protagonista di questa storia è il dottor De Angelis il cui nonno, Elio, dette inizio a quest’avventura negli Anni sessanta costruendo la clinica Villa Margherita. Sì, i De Angelis nascono come costruttori; ma nonno Elio, in seguito, diventerà anche costruttore di… salute. Rileverà (siamo negli Anni settanta) la clinica Paideia dopo aver edificato la Mater Dei. La Paideia, trasformata, ampliata e “diversificata” nei servizi offerti all’utenza, diventerà come la Mater Dei un punto di riferimento per la Capitale.
Passeranno gli anni, le generazioni si avvicenderanno. Arriviamo ad oggi; arriviamo al dottor Andrea De Angelis: “La sanità italiana – mi dice – si compone prevalentemente del “pubblico” e del privato “convenzionato”. Ora finalmente si sta espandendo il mercato del privato “puro”. Dico finalmente, perché anche la salute, se gestita come impresa, può produrre risultati ineguagliabili. Risultati che si traducono in qualità, puntualità, efficienza a totale beneficio dell’utenza”.
Dottor de Angelis, lei è “dottore in Medicina e Chirurgia”?
“No, sono laureato in Economia e Commercio. Per me l’organizzazione di una casa di cura non deve essere gestita con il metodo del “clinicaro” (mi scuso per questo neologismo certamente sgradito alla Crusca) ma con un piglio aziendale. Investendo per esempio nella tecnologia, nell’accoglienza, nella qualità di tutti i servizi; una clinica non è solo chirurgia, diagnosi, terapie, ricette. Si tratta di una struttura dai mille ingranaggi che deve “girare” al meglio”.
Già, l’accoglienza; e la tecnologia, l’informatizzazione. Dagli Anni sessanta ad oggi molte cose son cambiate e De Angelis non è rimasto a guardare. È stato tra i primi, anni fa, a ideare l’informatizzazione delle cartelle cliniche per consentire ai medici, anche da remoto, di “leggere” la storia del paziente, di aggiornare le prescrizioni, di consultarsi con i colleghi tramite il tablet, lo smartphone, il pc. Informatizzare significa anche velocizzare ed eliminare quelle montagne di carta che nelle cliniche producono solo tempi morti inficiando l’efficienza e la qualità del “servizio”.
“Certo, perché il nostro è un servizio – interviene De Angelis –. E, come tale, dobbiamo renderlo efficiente, concorrenziale, impeccabile. La salute passa anche da qui. Passa dalla logistica, dall’organizzazione e poi, ovviamente, dall’aggiornamento costante della tecnologia fino alla chirurgia robotica”.
Veniamo alla Paideia che, dopo tanti anni di onorato servizio, chiuderà i battenti di via Vincenzo Tiberio per far posto alla nuovissima struttura di via Fabbroni (zona Cassia/Flaminia, pochi metri da corso Francia): il Paideia International Hospital. Cosa vi ha portato a questa scelta?
“Abbiamo già detto che molte cose sono cambiate nel “pianeta” sanità. Cambiata la medicina e cambiati, tanto per dirne una, i “tempi” dei ricoveri, della convalescenza. Una volta per una semplice appendicectomia si restava in clinica anche più di una settimana. Oggi non è più così, c’è un avvicendamento frenetico, sono cambiati i volumi: invece di un paziente ospite per sete giorni, ve ne possono essere sette che si fermano un giorno solo…! Ergo, è nata l’esigenza di cambiare prospettiva, di “inventare” la clinica “che non c’era”. Inizialmente era proprio questi lo slogan con cui dovevamo lanciare la realtà di via Fabbroni: la clinica che non c’era. Più che clinica, preciso, si tratterà di un vero e proprio polo ospedaliero privato”.
Paideia International Hospital… Perché “International”?
“Siamo sempre lì: siamo sempre all’idea che offrire un servizio, salute compresa, significa dare qualità, efficienza anche nei settori collaterali, quelli lontani dalla sala operatoria, dai lettini. Il personale – tutto – parlerà italiano, inglese e altre lingue. Siamo a Roma, siamo nella Capitale. Dobbiamo offrire servizi di caratura – appunto – internazionale. Via Fabbroni sarà questo e anche molto altro. A cominciare dall’architettura, dalle forme: non ci si deve sentire in ospedale; l’ospedale con i suoi odori, i rumori, insomma quel “sapore” poco piacevole che ci fa sentire come uomini e donne che hanno lasciato il mondo fuori, quel mondo dove ieri stavamo bene e oggi invece siamo “dentro”, nelle mani di qualcuno che non si sa cos ci concederà di fare e cosa no. Una casa di cura dev’essere anche questo: dev’essere “friendly”. Deve offrire accoglienza, comfort, ascolto, efficienza”.
Da ragazzo aveva già deciso che sarebbe stato questo il suo futuro?
“Beh, diciamo che a 24 anni sì, sapevo già che il mio lavoro sarebbe stato questo”.
Un lavoro senza orari e con poco tempo libero. È così?
“Non proprio: il tempo libero esiste anche perché – se non ci fosse – non si avrebbe la possibilità di ragionare e quindi di delineare progetti, riordinare idee, sviluppare strategie…”.
In effetti il dottor De Angelis non si è limitato a sgobbare dalla mattina alla sera al servizio della sua impresa. Tuttavia, mi dice, “Non so se consiglierei questo percorso a chi ha vent’anni oggi. Sa perché? Perché in un certo senso io ho avuto una base solida, delle strutture già “in piedi” su cui lavorare. Inventarsi da zero un’attività così, oggi, non è proprio facilissimo…”.
Correre dietro al futuro; è quello che ha fatto il dottor De Angelis. Lo ha fatto e lo fa. Lo ha fatto, da ragazzo, anche gareggiando sule go-kart. È l’ennesimo vizio di famiglia: suo padre è stato campione del mondo di motonautica mentre suo fratello Elio – scomparso nel 1986 – era pilota di Formula 1.
Restare in pista sempre e comunque: è la prima regola di chi fa impresa.