“Kostabi: “Io, Wahrol e la Grande Mela” “
Prendiamoci in giro ma guardiamoci dentro. Così fa Mark Kostabi, classe 1960, compositore, produttore, musicista e soprattutto pittore. Le sue teste senza faccia che ricordano vagamente De Chirico urlano di dolore e di colore; il colore delle nostre vite più o meno vissute, più o meno ridicole. Gli chiediamo come fa, come ha fatto, in questi tempi dominati dai “social”, a portare queste vite sulla punta del pennello.
C’è un quadro di Kostabi che tutti, almeno una volta, hanno visto. Si chiama “Sexting” e mostra due corpi nudi sul letto; due corpi che si amano, totalmente rapiti dal piacere sessuale; amore, erotismo e carnalità restano però sospesi, soffocati. Perché lui e lei (senza faccia, come sempre) tengono stretto in mano ciascuno il suo smartphone. E parlano, o chattano, o leggono. Comunque sono altrove, lontani da quel letto, mille miglia distanti dai sospiri, dai baci, dagli orgasmi.
Quei due corpi siamo anche noi; noi che lavoriamo, dormiamo, parliamo, amiamo, guidiamo nel traffico. Noi che, inconsapevolmente, siamo i protagonisti dei dipinti di Kostabi.
Lo incontriamo, Mark, proprio nel giorno in cui Donald Trump si insedia alla Casa Bianca, addì 20 gennaio 2017. Lui è un fiume in piena e ci confessa una speranza: “Chissà – dice – forse tra qualche giorno Donald ci rivelerà che è tutto uno scherzo, che voleva solo burlarsi un po’ di noi tutti…”.
Kostabi, qual è stato il momento nel quale ha afferrato il suo stile, l’ha fatto suo, ha deciso che quello, e solo quello, doveva essere il suo “marchio”? Le teste senza volto, gli uomini e le donne senza razza e di tutte le razze?
“Bella domanda, nessuno me l’aveva fatta finora. Quando ero studente (in California, alla California State University di Fullerton, NdR) provavo tanti stili, mi cimentavo con la figurativa, il minimalismo, la concettuale… Mi dissero che ero bravo ma io sentivo che non era quello il mio linguaggio. Stili già esistenti, che già avevano riempito libri d’arte e di storia. Mi misi a fare scarabocchi davanti ai Caravaggio, ai Botticelli. Un giorno, riguardando quegli scarabocchi, mi son detto che quello sarebbe diventato il mio timbro; il mio stile. Poi gli scarabocchi divennero più elaborati e anche più grandi, fino a ricoprire fogli di 400 metri…! La gente vuol riconoscersi nell’arte e, per riconoscersi, è molto meglio non vedere le facce, il colore della pelle, l’espressione del viso. Forse cito De Chirico, ma è una citazione appena accennata: nei miei quadri non c’è malinconia metafisica, ma messaggi più immediati, sociali, anche più leggibili”.
Dunque arte come comunicazione. Succede con “Sexting” e succede in tante altre opere. Ritiene di perseguire una “mission”?
“Sto con gli occhi aperti, leggo, mi aggiorno, navigo e interagisco nei “social”. In altri quadri celebro la vita, la danza, la musica. Il mondo lo guardo e poi la racconto con le luci, i colori, le emozioni di un momento. Momenti che poi il pubblico tocca, riconosce, ricorda”.
Le difficoltà che ha incontrato, le salite dure prima di diventare un artista famoso. Ce le può raccontare?
“Il primo ostacolo apparentemente insormontabile, che non mi faceva dormire, era una domanda: “Come faccio per diventare ricco e famoso?” (ride, NdR). Poi ho capito; ho capito che dovevo lasciare Los Angeles per New York. Perché è nella Grande Mela che nascono e crescono i grandi pittori, è da lì che passano i grandi galleristi, coloro che decidono chi passerà alla storia e chi no… New York sta all’arte come Hollywood sta al cinema. Ma a New York non basta abitare: bisogna vivere la città, frequentare la gente “giusta”, integrarsi. Così facendo la salita, a poco a poco, diventa pianura e poi discesa. Sono le regole che mi son dato, da allora: primo, vivere a New York; secondo, vivere la città, frequentare gente, entrare nel “giro”. Poi ce ne sono altre quattro, che spaziano dall’essere professionale al trovare le persone giuste che lavorano con te. Ho seguito il mio “esalogo”, eccomi qua!”.
Le sue opere oggi si trovano in tutto il mondo. Come si fa a travalicare i confini, come ha fatto lei in un tempo in cui Internet ancora non c’era?
“Ho cominciato negli Anni 80, ma ho cominciato a New York. Come ho detto è di là che passano i grandi galleristi, i grandi nomi dell’arte. Ci sono i galleristi giapponesi, i tedeschi, gli italiani. Se l’arte si muove lo fa a New York”.
Foscolo nei “Sepolcri” spiegava che una tomba è la prova tangibile dell’immortalità, del fatto che siamo stati qui, abbiamo vissuto, abbiamo creato, siamo esistiti. Succederà anche con i suoi quadri: un giorno lontano resteranno a parlare di lei, della sua vita, dei suoi sogni. Ne è consapevole? Cosa vorrebbe restasse immortale della sua esistenza e delle sue opere?
“È presto per pensarci, ora sono molto concentrato su quel che devo ancora fare, quel che devo dire, dipingere, suonare, raccontare… Comunque quest’idea dell’immortalità è affascinante, intrigante. Ci pensava anche Wahrol, ne era cosciente; per questo, forse, prese a dipingere su tele immense, smisurate, in un tempo in cui le gallerie erano piccole, impreparate alle grandi dimensioni. In ogni caso vorrei essere ricordato come un artista sincero, che non retrodaterà mai un quadro, e mai lo rimaneggerà. È un modo, anche, per aiutare i posteri a studiarmi…!”
C’è un momento in cui ci si sente “arrivati”, all’apice della carriera artistica e umana? O siamo sempre in crescita, in evoluzione? Lei si sente arrivato o ancora in… viaggio?
“Ho tanto ancora da fare, mi sento all’inizio. Nel mondo dell’arte, la musica insegna, un giorno sei sconosciuto e il giorno dopo sei una pop-star internazionale; poi succede (non sempre ma può succedere) che dopo un po’ si spengono le luci e sei di nuovo Pinco Pallino. Sono famoso io? Non so, non mi sento di dirlo ad alta voce. Mi chiedono autografi, è vero, anni fa non accadeva. Ho fatto decine di mostre personali, sono in tanti musei nel mondo ma… ma la strada è lunga!”.
Quindi pensa ancora di diventare famoso, più famoso… Quando sarà?
“Sono conosciuto, ma non come lo era Picasso, non ho una “personale” al Moma, non ancora. Visto che siamo in Italia, dirò che stanno per aprire due mie mostre, una a Francavilla l’altra a Caserta. Famoso io? Abbastanza ma non troppo. Oggi è il 20 gennaio, Trump è il presidente. Lui era famoso anche prima no? Ora lo è molto di più…”.
Un messaggio da recapitare ai giovani italiani?
“Cercate di essere vegetariani e sbrigatevi ad andare a New York. Quando venite chiamatemi: prendiamo un caffè, un aperitivo e festeggiamo la vita. La vita non è male e gli italiani, da sempre, sanno come apprezzarla”.
Kostabi, oggi, si divide tra New York e Roma, ha all’attivo più di 160 “personali” e molte sue opere sono presenti in permanenza in importanti gallerie. Dal pennello alla musica: le sue composizioni hanno riscosso successo ovunque.
Ma la strada, come dice lui, è ancora lunga, e c’è tanto da pedalare. Sarà per questo che, tra le altre cose, ha recentemente ridisegnato la “Maglia Rosa” del Giro d’Italia.