King Krule: una voce fuori dal coro, anche nel rock.
Crudo, caldo e profondo: il giovane londinese è un poeta maledetto e portento dal sound moderno che attinge a pienemani dal passato. Ma non è detto che vi piaccia.
Di Giacomo Ruben Martini
“O lo ami o lo detesti”: King Krule potrebbe essere inserito in quella categoria di artisti irresistibili per alcuni, insopportabili per altri. Ed è ben comprensibile rimanere scossi dal primo ascolto di King Krule: la sua voce dal colore profondo è difficile da digerire. Sembra che strizzi l’occhio a cantanti blues come Tom Waits. Anzi, no, sembra la voce di un cantante punk di una Londra inizio anni ‘80. Anzi, no, ricorda vagamente Elvis.
Qualsiasi cosa ricordi, sembra “macchiata” da un’amicizia di lunga data con alcool e sigarette. In realtà, di lunga data non c’è molto in questa storia: King Krule, o come lo chiama la mamma, Archy, è un ragazzo di ventisei anni ed è sulla scena da quando ne aveva diciannove. Lui, questa voce così particolare, gutturale, cruda, ce l’ha fin dall’adolescenza. Ma la voce non è il suo unico cavallo di battaglia: il suono e l’arrangiamento delle sue composizioni giocano indubbiamente un ruolo altrettanto importante.
King Krule suona brani dallo stile R&B, anche se la critica parla di “jazz fusion”. Forse bisognerebbe inventare un nuovo nome per definire la sua musica. Non tanto per gli artisti che ricorda quando canta e suona, quanto per il fatto che stia riproponendo qualcosa che già è esistito, ma traducendolo nel linguaggio dei giovani d’oggi. Perché per posizione geografica, influenze e formazione della sua band, gli è impossibile evitare casuali riferimenti a quello che, fino a qualche anno fa, chiamavamo indie rock. Ma nel farlo lui sembra quasi aver eseguito una parodia del brit-rock “pettinato” al quale siamo abituati, producendo una serie di opere che toccano le viscere, ancor prima che il cuore, e producono un forte senso di inquietudine nell’ascoltatore.
Queste sensazioni sono state riproposte in Man Alive!, il suo ultimo album, uscito nel 2020. Qui King Krule insiste su questa contrapposizione di generi, dal jazz al punk rock, polarizzando il suo disco fra brani dall’andamento violento ad atmosfere trasognate e lo-fi. Man Alive! è forse il meno orecchiabile e comprensibile fra gli album di King Krule. Per un primo ascolto, consiglio il primo album, “6 Feet Beneath the Moon”: se preso con il giusto spirito, sia emotivo che musicale, potrebbe essere un’esperienza positiva anche per voi.