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MUSICA: Radiohead

A Moon Shaped Pool. Il ritorno dei Radiohead

 

di Giacomo Ruben Martini

 

Dopo cinque anni dal precedente The King of Limbs, i Radiohead hanno pubblicato il loro nono album in studio, A Moon Shaped Pool. In tanti lo aspettavano, visto che la band di Oxford è probabilmente la più importante degli ultimi vent’anni, avendo i Radiohead fatto la storia del rock con album anticonvenzionali come Kid A del 2000 e dato una scossa all’industria musicale nel 2007 con In Rainbows.

 

Pubblicando l’album in maniera indipendente, vendendolo “a offerta libera” su Internet dopo essersi staccati dalla Parlophone, avevano infatti guadagnato più soldi con quel disco che con i precedenti, nel periodo in cui si diffondeva la consuetudine di scaricare illegalmente musica.

In questi cinque anni in molti pensavano che non ci sarebbe più stato un album dei Radiohead, anche perché tre dei cinque membri hanno portato avanti progetti solisti. Il frontman Thom Yorke stesso ha raccontato in un’intervista che non si aspettava un enorme successo, anzi pensava che l’interesse dei fan fosse diminuito. Invece non solo non si è mai ridotto ma, anzi, è aumentato negli ultimi mesi, quando la band ha oscurato tutti i canali social. Un modo assurdo per promuovere un disco, ma efficace: A Moon Shaped Pool è andato in alto in tutte le classifiche mondiali e, mentre sto scrivendo, è al secondo posto degli album più venduti in Italia.

I Radiohead hanno sempre cercato di rendere unico il loro stile pur non mantenendo mai gli stessi suoni. Non sono sicuro che A Moon Shaped Pool sia il migliore fra i loro dischi ma è un’opera eccezionale: molto più posato e orecchiabile del precedente, sembrerebbe una raccolta di brani nati per essere suonati in acustico e poi riarrangiati, nei quali l’elettronica di cui i Radiohead sono stati pionieri nel rock sembra quasi lasciata da parte a favore degli archi della London Contemporary Orchestra. Fenomenale il finale di Burn the Witch, in cui l’orchestra si cimenta in un crescendo suonato “col legno”, ovvero una tecnica venuta alla luce pochi anni fa che consiste nel suonare il violino con il lato “sbagliato” dell’arco: in questo modo si ottiene una sorta di tintinnio. In generale archi, vecchi pianoforti, campanelli di biciclette, folate di vento e voci sintetizzate e poi riversate sono i veri protagonisti. Sul fronte dei testi non c’è stata alcuna conferma da parte di Yorke ma è evidente il dolore per la recente separazione dalla compagna di una vita in Present Tense, c’è una chiara critica ai vari episodi di intolleranza e xenofobia in Burn the Witch, mentre The Numbers è una bellissima canzone ambientalista.

L’album si chiude con un brano storico dei Radiohead, scritto più di vent’anni fa ma mai pubblicato, riarrangiato con i già citati suoni “lunari” per l’occasione: True Love Waits. Questa scelta è stata interpretata dal pubblico in modi diversi. Io, anche a causa del contenuto politico degli altri brani, ci voglio leggere una dedica a noi giovani, quelli della generazione di Be Different. Sembra che ci stiano dicendo che questo mondo è alla rovescia e spetterà a noi giovani rimetterlo in sesto: il 17 giugno scorso, a Istanbul, alcuni uomini sono entrati in un negozio di dischi dove era trasmesso in diretta un concerto dei Radiohead in streaming mondiale per il lancio del disco e hanno massacrato di botte i giovani partecipanti perché mangiavano e consumavano alcolici nonostante il divieto imposto durante il Ramadan islamico. Ora, non so come sarà il mondo fra dieci anni, ma so che questo disco è già nella storia.

 

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