Vestire e non solo “coprire”. Far “parlare” un abito, un colore, un tessuto. In questa rubrica presenteremo, di volta in volta, uno stilista di haute-couture. A loro la parola – pagina dopo pagina, numero dopo numero – per raccontare i sogni e le incertezze degli esordi, le soddisfazioni, le battute d’arresto e, soprattutto, la moda che c’è e quella che verrà.
Luigi Borbone, dal tecnigrafo alla passerella
Di Tiziana Cini
Disegnare o progettare? Dipende dai casi. Dipende da chi. Prendiamo Luigi Borbone; anzi Luigi Maria, questo il suo nome completo. Ultraquarantenne ma non troppo, architetto ma non ora, non solo, non più.
Non esageriamo: se sei architetto resti tale per sempre. Di più: se sei architetto vedi le forme, sai come guardarle. Disegnare immaginando quel che verrà dopo, come si muoverà nello spazio, che sensazioni provocherà a chi guarda da “dentro” o da “fuori”…
Per esempio dentro un vestito. O fuori, dove ci sono i mille occhi che lo vedono, lo studiano, lo giudicano; e lo desiderano.
Dunque, Borbone; Luigi Maria. Che ha abbandonato il tecnigrafo o, meglio, l’ha messo al servizio della moda; quella sua. L’atelier Borbone nasce nel 2008 e “cresce” a vista d’occhio.
Luigi, come ha cominciato?
“Ho alle spalle una storia particolare. Mia nonna faceva la modella per le Sorelle Fontana (le mitiche Zoe, Giovanna e Micol, che nell’atelier di Fontanella Borghese hanno “vestito” tra le altre Anita Ekberg, Sophia Loren, Liz Taylor e che sono state per decenni punto di riferimento dell’aristocrazia e l’alta borghesia romana e non solo, ndr). Ma fare la mannequin non le bastava, cosicché decise di passare dall’altra parte, di afferrare le forbici; insomma di inventare e tagliare lei vestiti, modelli, idee. La sua maison divenne in breve punto di ritrovo della Roma ‘bene’ tra gli Anni 50 fino a tutti gli 80. Ebbene io sono stato spesso con lei, nella sua sartoria; posso dire di essere cresciuto lì dentro, respirando e vivendo in quell’ambiente, quegli spazi…”.
Passeranno gli anni e Luigi, come può succedere, crescerà davvero. Studierà e si laureerà in architettura (L’abbiamo già detto? Pardon) lavorando in numerosi studi di Roma ma anche all’estero. Dopodiché il passaggio, il “grande salto”. Succede, ed è successo anche a lui; il perché e il come non è sempre facile da capire, da spiegare. Fai il medico e poi, all’improvviso, smetti il camice e diventi attore. Sei uno stimato professore di glottologia e domani decidi di scrivere canzoni e di “gridarle” negli stadi d’Italia e d’Europa. Sei architetto e…
“Beh, diciamo che qui il passaggio non è proprio un salto in un pianeta sconosciuto – interviene Luigi –: l’architettura è comunque un mondo creativo, un mondo fatto di forme, di idee, di linguaggi da esplorare, di emozioni… Nel fare lo stilista, tra l’altro, i miei studi, la mia formazione, mi hanno aiutato a guardarmi intorno ed a carpire la tridimensionalità dello spazio; per questo uso dire che un abito non si disegna: si progetta”.
D’accordissimo con lei: anche il vestito si deve muovere nello spazio e deve essere… abitato. Torno alle domande: negli Anni venti del Ventunesimo Secolo e in quelli a venire c’è ancora spazio per l’Alta Moda? O dovremo prima o poi arrenderci al prêt-à-porter?
“Arrendersi? Mai e poi mai. Tra l’altro non c’è partita, non c’è battaglia e nessuno ci chiede una resa, anzi: io percepisco una gran voglia di moda, di alta moda, di tornare a quelle atmosfere magiche degli atelier, dove trovare qualcuno che si dedica a te, che valorizza il tuo corpo, che ti insegna a “vivere” l’abito”.
Qual è il modello di donna che vuole esprimere con le sue creazioni?
“Mi richiamo alle forme ed ai ‘sapori’ degli Anni 40 e 50, l’iperfemminilità, l’esaltazione del corpo, delle spalle, del punto vita, le gambe… Forme e atmosfere che ho visto e interiorizzato nella sartoria di mia nonna”.
Ha vestito molte donne “importanti” del mondo dello spettacolo e non solo. Può dirmi chi, tra queste, incarna il suo stile?
“Tutte, senza alcun dubbio. Tutte dive per me, dalla star del cinema fino alla ragazza della porta accanto; ergo, nomi e cognomi non servono. Una volta qui, una volta indossato un mio abito dico loro, semplicemente: ‘Benvenuta nel mondo di Luigi Borbone; da questo momento sei una Lady Borbone…!’”
La moda cambia, ma l’eleganza ha le sue leggi pressoché immutabili. Concorda?
“Concordo. L’eleganza ha i suoi dettami perché anche in democrazia sappiamo e vogliamo darci regole di educazione e galateo. A me piace giocare con la duplicità lui/lei: pantalone con camicetta ultrafemminile, abiti coprenti sul collo ma ‘scivolati’…”.
Quest’anno quali tessuti? Quali colori? Quali linee?
“Provo a ‘spoilerare’ la collezione primavera: immagino una donna bohemien a cui piace vivere, ‘mordere’ la vita. Quindi enfatizzazione della femminilità, eleganza, materiali fluidi e leggeri uniti ad altri più ‘costruiti”.
Crisi economica pre-pandemia e crisi durante e dopo la pandemia. La moda ne ha risentito?
“Nel nostro mondo c’è una gran voglia di rinascita, di ripartenza. Inoltre per me la solitudine dei lockdown è stata anche un’occasione per concentrarsi su noi stessi, capire chi è importante e chi no, cosa è bello, cosa vogliamo davvero e cos’è per noi il ‘bello’…”.
Crede che il lusso, domani o dopodomani, sarà estromesso dalla storia?
“Il lusso fa la storia; il lusso è la storia. Non si tratta dei loghi, dell’ostentazione. Il lusso è lo stile: quello mio, quello tuo. Irripetibile; unico”.
Un consiglio a chi, giovanissimo, voglia intraprendere la sua strada…
“Studiare tanto; non intendo solo i libri: guardarsi intorno, frequentare l’ambiente e ‘sporcarsi le mani’, fare pratica, anche quella umile, la famigerata gavetta”.
Dalla gavetta alla matita; e alle forbici. Può succedere. Com’è successo a Luigi Borbone.