Titolo fuorviante perché gli artisti, quelli veri, non si son mai barricati nelle torri. Uno di questi è Tombolini, realizzatore eclettico (dalla scultura alla fotografia, dai quadri alla street art). Le sue opere sussurrano e gridano; perché parlano – denunciano – ciò che non va tra le umane genti: povertà, migrazione, prostituzione minorile… L’arte, fin dalla notte dei tempi è questo, soprattutto questo: la si guarda, la si ammira per aprire gli occhi.
Michele Tombolini nasce a Venezia nel 1963, dove tuttora vive, dopo esser stato due anni a Berlino dal 2015 al 2017. I suoi lavori spaziano dalla realizzazione di installazioni ad opere di street art, alla performance. La cronaca sociale è ciò di cui si nutre per trarre spunto per le sue opere. Siamo di fronte ad un’arte che vuole parlare, anzi, gridare contro le ingiustizie dei nostri tempi. Le tematiche che affronta sono forti ed attuali: la povertà, i migranti e la prostituzione minorile. Michele infatti, da tempo, collabora anche con la ECPAT (End Child Prostitution, Child Pornography and Trafficking of Children for Sexual Purposes), una Onlus internazionale che lotta contro il turismo sessuale, la prostituzione e la pornografia a danno dei minori.
La sua non è un’arte che ricerca il bello e la perfezione ma, anzi, si trasforma in un potentissimo strumento di comunicazione, un’arma moderna per fare giustizia e dare voce a chi non ha la forza e la perseveranza per lottare contro il sistema. Un’arte che diventa un manifesto dei diritti dei più deboli e della giustizia sociale, un’arte che sciocca e disturba e che colpisce con l’intento di risvegliare le menti e la coscienza della gente, sensibilizzando lo spettatore alle tematiche più delicate ed importanti dei nostri giorni.
Una vera e propria arte sociale che lo ha portato infatti a fondare a Berlino il suo personale progetto Social Pop.
Michele hai trovato un modo sicuramente efficace per parlare di tematiche politico-sociali attraverso un linguaggio che si rende incredibilmente universale come quello dell’estetica pop. Dietro i colori sgargianti e opere di vario genere, ti inserisci nei dibattiti sociali più sensibili a livello globale. Come sei arrivato a fondare a Berlino Social Pop? Ci spiegheresti esattamente di cosa si tratta? E cosa rappresenta la X che sei solito rappresentare sulla bocca delle tue figure, quella che ormai è diventata la tua firma?
Innanzitutto il Social Pop nasce nel 2015 ed è un modo per definire la mia arte: che sia un’installazione, un quadro, una fotografia o una performance. Come avrai capito mi piace sperimentare e tengo a precisare che ho delle influenze pop ma non mi ritengo assolutamente un artista pop. Forse più concettuale che pop. Ricerco tantissimo e vado sempre avanti. Sono partito dal primitivismo e sono poi passato all’astrattismo. A queste sperimentazioni nel tempo ho unito l’interesse alle problematiche sociali come il traffico dei minori e la violenza sulle donne.
Quello che appunto mi caratterizza e che sto portando avanti da ormai quindici anni, con sempre più convinzione e forza, è il simbolo della X sulla bocca. Un forte simbolo di censura. Voglio dar voce a chiunque non possa più parlare o dire la verità. Ed ora voglio portarla ovunque, spostando molto l’attenzione anche sulle tematiche ambientali.
Il ciclo temporale non si arresta mai eppure l’arte, in questo, è un’arma potentissima capace di lasciare una traccia nella storia, ha il potere di rendere immortali, di consacrare qualcosa all’eternità che rimarrà imperitura nel tempo. Qual è l’elemento delle tue opere che secondo te rimarrà cristallizzato nel tempo e che speri rappresenti la tua personale traccia nel mondo?
Sono molto ambizioso come persona. Credo fermamente che si debba sempre seguire, anche sbagliando, la propria strada. Ho le mie idee e vado avanti e non è facile quando si tratta di interpretare tematiche così forti. Ogni artista deve essere vero, sincero ed autentico senza mai cedere alla corruzione delle tendenze e delle mode del momento. Solo così riesci ad emergere e per me quel messaggio autentico è ciò che spero rimanga di me e che arrivi agli altri, rimanendo scolpito nelle menti. La X è proprio il simbolo di questo pensiero.
La carriera dell’artista è sempre stata molto complicata. In un mondo competitivo come quello di oggi, dove il confronto con la scena globale è costante quand’è che ti sei sentito realizzato? Qual è stata la gratificazione più grande nel tuo percorso da artista? E che vuol dire essere un’artista al giorno d’oggi?
Secondo me il pittore è pittore, lo scultore è scultore e l’artista invece crea perché per esserlo deve sperimentare tutto, a 360 gradi. Anche io sono nato come pittore, dai sei anni, ma poi ho sempre portato avanti la mia sperimentazione. Il mio obiettivo è quello di trasmettere un messaggio ben riconoscibile e forte, in qualsiasi forma esso venga presentato: che siano installazioni, murales, azioni, fotografie o quadri si deve capire che sono io.
Se guardo a quello che ho fatto devo dire che posso essere contento anche se un’artista non può mai smettere di cercare sé stesso. Anzi, la cosa peggiore è pensare di essere arrivati perché vorrebbe dire rimanere fermi immobili nella propria posizione senza riuscire ad andare avanti. Questo, invece, è lo stimolo della vita, è ciò che ti fa sentir vivo e ti accende di emozioni.
Hai qualche consiglio da dare ai giovani che oggi vogliono ancora credere nell’arte e tentare questa strada?
Chiunque voglia fare questo mestiere deve capire, sin da subito, che è difficilissimo e che la cosa più difficile in assoluto non è solo esser bravi, che già di per sé è una bella componente, ma l’avere costanza, perché nella vita si incontreranno sempre delle difficoltà ma il rischio peggiore è mollare e perdersi per la strada. Solo uno su un milione, grazie all’amore e alla passione, riesce ad andare avanti. Bisogna credere nel sogno e lottare sempre.