L’ EDITORIALE DI GIUSEPPE POLLICELLI: “”

“RISPOLI, IL GENTILUOMO DELLA TV”

I giovani, tranne rare eccezioni, non si ricordano di lui, ma Luciano Rispoli è stato una figura importante nella storia della tv italiana e ha portato avanti un’idea della comunicazione massmediatica, improntata al garbo e al civile scambio di opinioni, che andrebbe recuperata.

 

di Giuseppe Pollicelli

 

Lo scorso 27 ottobre è scomparso a Roma, a 84 anni, un uomo di cui la maggior parte dei giovani di oggi non serba memoria ma che è stato un pezzo importante della radio e della televisione italiane. Nato nel 1932 a Reggio Calabria e trasferitosi ancora ragazzo nella Città Eterna, Luciano Rispoli (di lui stiamo parlando) partecipò fra l’altro all’ideazione, nel 1965, del programma radiofonico “Bandiera gialla” (inventandone anche il titolo) e fu tra i responsabili dell’esordio in radio, in differenti vesti, di personaggi del calibro di Maurizio Costanzo, Raffaella Carrà e Paolo Villaggio. In tivù, dove ha conosciuto la massima notorietà negli anni Ottanta e Novanta, ha lasciato il segno soprattutto con due trasmissioni: il quiz sulla lingua italiana “Parola mia” (trasmesso da Rai Uno tra il 1985 e il 1988 e poi tra il 2002 e il 2003) e il talk show “Tappeto volante” (andato in onda su Telemontecarlo, poi divenuta La7 in seguito a un cambio di proprietà, e altre emittenti tra il 1993 e il 2009), quasi una risposta all’insegna del garbo e della moderazione all’aggressività e ai toni non di rado sguaiati del celebre “Maurizio Costanzo Show” di Canale 5. In un’intervista di qualche tempo fa Rispoli aveva detto: “È vero che a volte sono un po’ cerimonioso, ho fatto esercizi per parlare in modo meno iperbolico, ma non sono riuscito a cambiare una virgola. L’urlo, lo scandalo e la volgarità non hanno mai abitato nella mia televisione, per questione di rispetto”. Gli ultimi anni di vita non li ha vissuti benissimo e, anche a causa di una salute fattasi infine molto precaria, con l’invecchiamento non ha avuto un buon rapporto. Al compimento degli ottant’anni, nel 2010, dichiarò alla rivista “Vanity Fair”: “I miei sono stati ottant’anni interessanti e felici. Ma sono tantissimi. È c’è un appuntamento che si avvicina, quello con la morte, che non mi crea ansia, ma irritazione. Mi si chiede se nella vecchiaia c’è qualcosa di bello: no, la vecchiaia fa schifo».

Fra l’ottobre e il dicembre del 1997 chi scrive ha avuto la possibilità di conoscere Luciano Rispoli godendo di un punto di osservazione molto particolare, quello di concorrente di una trasmissione televisiva da lui condotta. Il programma andava in onda la domenica pomeriggio su Telemontecarlo ed era la riproposizione di “Parola mia” previa fusione con la già citata formula – all’epoca dominante – del talk show. Il nome del programma era, senza troppa fantasia, “Campionato Nazionale della Lingua Italiana”, e a margine delle prove sostenute dai giovani concorrenti Rispoli svolgeva il ruolo che forse gli si addiceva più di ogni altro, quello del padrone di casa compito e affabile, assai più portato ad ascoltare l’ospite che non a farsi ascoltare. Nel programma c’erano anche Roberta Capua – bellissima, brava e colpevolmente poco sfruttata dalla nostra tv, troppo incline alle scelte dozzinali – e uno di maggiori linguisti italiani, il professore torinese Gian Luigi Beccaria, volto austero e risorgimentale, già colonna di “Parola mia”. Tra le prove ce n’era una che consisteva nel redigere in mezz’ora, venendo inquadrati a intermittenza dalle telecamere, un breve tema su un argomento prestabilito. A me, in un caso, toccò di scrivere una lettera di benvenuto a un ipotetico bambino che sarebbe nato il primo giorno del nuovo anno. Sia io sia il mio avversario, un ragazzo veneto, ce la cavammo bene. Rispoli rimase alquanto impressionato dai nostri elaborati e siccome quella domenica figurava tra i suoi ospiti il compianto Gian Paolo Cresci, allora direttore de “Il Tempo”, insisté in diretta con quest’ultimo affinché l’indomani pubblicasse i due temi sul suo quotidiano. Cosa che Cresci fece. Nel mio rapporto col giornalismo, dunque, devo qualcosa anche a Luciano Rispoli. Il quale, con la sua voce “nobilmente adenoidale” (per rubare un’espressione che Pier Vittorio Tondelli usò a proposito di Andrea Pazienza), si rivolgeva all’ospite prestigiosissimo nello stesso modo che al concorrente sconosciuto, facendo sempre sentire importante l’interlocutore, dandogli l’impressione di considerare davvero interessante ciò che avrebbe detto. Se oggi una tv come quella di Zio Luciano (così lo chiamava affettuosamente Roberta Capua) non è più possibile, se salotti come i suoi non sono più pensabili, è perché è cambiata la tv. Ma ancor di più perché sono cambiati i salotti e, soprattutto, i padroni di casa.

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