“Intervista esclusiva a Fabio Basile”
di Beatrice Gentili
Campione olimpionico a Rio 2016 nel judo, categoria 66 kg, Fabio Basile è entrato nell’Olimpo degli atleti più forti del mondo conquistando la 200esima medaglia d’oro della storia dell’Italia ai Giochi. “Quando combatto non sento nulla, sono di ghiaccio. Non penso chi sto rappresentando, non so chi sono. Nella mia mente c’è solo l’avversario”, ci racconta. La sua arma vincente? “Mentre combatto, riuscire a isolarmi da tutto ciò che mi circonda”.
Oro alle Olimpiadi: Fabio, che effetto fa portare questa medaglia al collo?
È difficile da spiegare. Appena conclusa la gara mi sono sentito il padrone del mondo. È un’emozione talmente grande che è difficile concretizzarla a parole. Ti sembra di tornare bambino e rivivere il sogno di vincere le Olimpiadi, con la consapevolezza, però, di avercela fatta davvero.
Era la tua prima Olimpiade e hai bruciato le tappe, considerando che fino a un anno fa non eri inserito nel ranking mondiale. Qual è stato il tuo segreto?
Riuscire a gestire bene le emozioni e, appena prima di iniziare a combattere, pensare solo a menare tutti quanti.
La rabbia, in questo sport, che ruolo ha?
Non è corretto parlare di rabbia quanto piuttosto, almeno nel mio caso, della voglia di trasformare l’invidia e le cattiverie di chi nel mondo del judo non crede in te, in benzina. È stato proprio questo a rappresentare il 99% della forza che ho usato a Rio.
Hai sempre pensato che Rio 2016 potesse essere un traguardo raggiungibile?
Fin da bambino mi sono sentito diverso dagli altri, non per il talento ma per il mondo di condurre la mia vita. I miei coetanei avevano abitudini, modi di pensare e obiettivi diversi dai miei. Ho sempre creduto nella vittoria e a Rio ero convinto di ottenere una medaglia, ma l’oro era praticamente impossibile.
Cosa rappresenta per te il judo?
È una passione nata fin dal momento in cui, entrato in palestra su spinta dei miei genitori, misi ko alcuni ragazzi nei primi incontri. A tutti i bambini piace vincere e ricordo ancora quando nel 2000, vedendo Pino Maddaloni trionfare alle Olimpiadi, si accese la scintilla. Ogni volta che salgo sul tatami mi sento vivo. La sensazione di confronto, di sfida e di rispetto con gli avversari crea un mondo a parte.
Come si affrontano le gare quando a soli 22 anni si è già i più forti del mondo?
Come sempre! Bisogna continuare a gestire le emozioni ed è fondamentale non pensare più al passato. Se dovessi fermarmi a pensare al titolo di campione olimpico finirei per vedere il futuro in maniera più ostica.
Sembri avere una preparazione psicologica molto solida. Hai sempre avuto questa forma mentis o hai un preparatore atletico che si occupa di formarti?
Non ho mai avuto un mental coach. Sicuramente il ruolo dei miei maestri Pierangelo Toniolo e Kiyoshi Murakami è stato importante per la mia formazione, anche se fin da piccolo ho sempre avuto questa impostazione mentale e lo sport mi ha aiutato a modellarla.
Che ruolo ha avuto il Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito nella tua formazione da atleta?
Mi ha aiutato molto e mi ha sempre fatto sentire importante. Da bambino desideravo entrare a far parte di un’Arma e grazie al Colonnello Giuseppe Minissale mi sono avvicinato al CSOE. Lui mi ha trasmesso entusiasmo e ha alimentato la mia voglia di proseguire su questa strada. L’Esercito ci supporta in tutto e, quando si ha diciott’anni, sapere di poterci contare anche per un sostegno economico è davvero importante.
Un consiglio dalla medaglia d’oro di Rio 2016 alle nuove leve del judo?
Uno solo? Non mi basterebbe scrivere trenta pagine. Il suggerimento principale è che non bisogna mai mollare, perché è proprio quando sembra andare tutto in fumo che arriva il momento di dare il massimo e tirare fuori quella forza in più che possiamo trovare solo dentro noi stessi. Nessun altro può aiutarci.