Raffaele Grande: “Lavorare? Nulla di più gustoso”
Grandi o piccole, “storiche” o “start-up” le aziende del Belpaese fatturano passione. Vale anche per quelle che hanno scelto Be Different per farsi conoscere e ri-conoscere. A partire da questo numero diamo la parola a quegli uomini e quelle donne che, insieme, portano avanti l’Azienda Italia.
Lavorare “sotto padrone” è una iattura; lavorare in proprio, una pacchia. Il “capo” ordina, dirige, dà disposizioni e gli altri, quelli che stanno “sotto”, lavorano. Il capo no, lui si limita a scorrere i bilanci, presenziare a eventi, viaggiare, firmare “contrattoni” e – soprattutto – vantare un reddito con tanti, tantissimi zeri.
Ma le cose non stanno affatto così: l’imprenditore rischia, azzarda, scommette su sé stesso e lavora, spesso e volentieri, ben più di tutta la “squadra”. Lo disse bene Luigi Einaudi, economista di razza che fu, tra l’altro, presidente della Repubblica dal 1948 al ’55. Citiamo qui una parte del suo celebre discorso a proposito degli “entrepreneur” pronunciato nel 1960: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. Non li spinge soltanto la sete di guadagno: li spinge il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda acquistare credito, prosperare, ispirare fiducia alla clientela (…). Prodigano tutte le energie, investono tutti i loro capitali per ritirare spesso utili ben più modesti di quelli che potrebbero ottenere con altri impieghi”.
Meglio di lui non avremmo saputo dirlo: “Non li spinge solo la sete di guadagno”, “investono energie e capitali per avere utili più modesti di chi…”. Capita l’antifona? Questo, e solo questo è l’imprenditore con la I maiuscola. Un uomo, o una donna, che ama scommettere e che non ha paura di rischiare; rischiare denaro e rischiare, anche, di farsi deridere o criticare: “Davvero vuoi farlo? Lascia stare, perderai tutto…”. Già, perdere. Oppure vincere e andare a lavorare, ogni mattina, con il sorriso sulle labbra. A qualcuno succede, che ci crediate o no.
Succede per esempio a Raffaele Grande, gioielliere che, da qualche anno, ha “acceso” le sue vetrine anche a viale Parioli. Gioielleria ed orologeria (concessionario ufficiale Rolex e non solo) che prese piede decenni fa a Frosinone.
“Io e mio cugino Giovanni – racconta Raffaele – partimmo da soli, senza personale, senza nessuno; staccati dal resto della famiglia (la famiglia Grande era già proprietaria di una gioielleria in quel di Frosinone, NdR). Ci guardarono come due pazzi, due incoscienti. Ora mi trovo con tre negozi, quindici dipendenti – validissimi collaboratori, quasi fratelli e cugini anche loro – e un’Azienda che mi riserva grandi soddisfazioni”.
Prima soddisfazione: aver vinto una scommessa, dimostrando a tutti – scettici compresi – che Raffaele poteva camminare da solo. Camminare e correre con nuove idee, nuovi progetti e nuovi orizzonti da toccare. Guai a dire: “Si fa così, abbiamo sempre fatto così…”. Niente affatto: bisogna sperimentare, aprire altre porte, conoscere e, soprattutto, farsi conoscere. Così, da tre anni, Grande è sbarcato nella Capitale; non in una strada qualsiasi, ma a viale Parioli. Quindici metri di vetrine che non passano inosservate.
Raffaele, presentati, raccontaci di te. In primis, come ti giudichi?
Mi giudico sempre in maniera severa. Per questo ambisco sempre a fare di più; questo è il sale dell’imprenditoria: il gusto di fare, di lavorare. Ogni mattina rido, vado contento al lavoro, il mio lavoro. Un lavoro lungo venticinque anni che, tuttavia, ogni giorno mi appare come una novità, una sorpresa. Passato, presente e futuro scorrono in me senza soluzione di continuità. Anche se al futuro ci pensa, in parte, mio figlio Michele: anche lui è nella “squadra”; ci mette quel tocco di freschezza, di modernità e – perché no – di “social” (ride, NdR): il mondo va avanti, bisogna stargli dietro o, meglio, correre più di “lui””.
C’è stata una scelta imprenditoriale per la quale hai dovuto sottostare a qualche rinuncia?
“L’unica scelta sofferta è stata quella di uscire dall’attività di famiglia: una situazione avviata, facile, ben oliata, per ripartire da zero. Ho così rinunciato alla sicurezza, a un reddito sicuro e tante piccole e grandi “comodità”. Mi ha aiutato moltissimo, in questo, mia moglie. Lei – che tra l’altro riveste anche il ruolo di commercialista di famiglia –mi ha dato la forza, il coraggio di operare le scelte più importanti”.
Da Frosinone a viale Parioli: com’è andata all’inizio?
“Mi dicevano: “Apri ai Parioli? Attento, è una zona ormai poco commerciale, non ti conviene…”. Tutto il contrario: siamo a due passi dal centro e siamo nella zona dei prestigiosi circoli sportivi, delle cliniche, della Roma che ama il lusso che non sconfina nel pacchiano. Siamo arrivati qui cavalcando l’onda dell’alta orologeria che, da tempo, non è più appannaggio esclusivo di pochi eletti: Rolex, Cartier, Girard-Perregaux, Jaeger-LeCoultre non sono più nomi altisonanti da guardare e non toccare. Le lancette girano: uomini e donne che amano lo stile ve ne sono tanti. Ti dirò di più: non riusciamo nemmeno a soddisfare le richieste!”.
Prodotto, servizio, immagine, comunicazione. Come ci si deve muovere in questi quattro elementi?
“bisogna tenerli “aperti” tutti e quattro. Il cliente va seguito nella vendita e soprattutto nel post-vendita. Anzi, il post-vendita è certamente più importante. La clientela è la vera ricchezza dell’impresa. C’è chi lo capisce e chi no; tutta qui la differenza: la differenza tra l’imprenditore e il bottegaio”.