ENTREPRENEUR: Matteo Faenza

Matteo Faenza: mezzogiorno di… cuoco

Il Far West non c’entra, non ci sono i “buoni” e i “cattivi”. C’è però il buono, uno solo: quello da assaggiare, gustare esplorando i cinque Continenti pur restando comodamente a tavola. Succede incontrando Matteo, 27 anni, chef giramondo che – alle porte di Roma – ha edificato il suo tempio all’insegna del “fine dining”.

Non è mezzogiorno: chi si siede a tavola a mezzogiorno? Perché io sono a tavola, quanto meno idealmente, dato che di fronte a me c’è Matteo Faenza che di tavola – e di cucina, quella con la C maiuscola – se ne intende.

Ha 27 anni, Matteo. Pochi? Non per lui, visto che in cinque lustri ha fatto, disfatto, inventato, creato sapori, sperimentato ricette, contaminato piatti tradizionali con il suo tocco fantasioso. Sì, Matteo è uno chef navigato, navigatissimo. Ma andiamo con ordine; facciamo parlare lui.

Tuo padre Roberto e tuo fratello Giovanni, dieci anni fa, hanno messo su il birrificio Ritual Lab a Formello; un piccolo impianto che poi, col tempo, diventerà un “faro” per i veri intenditori. Passano gli anni, passa tanta birra sotto i ponti (e nei boccali) e Ritual Lab vincerà, nel 2020, il premio “Birraio dell’Anno”. Nel frattempo… Già, nel frattempo tu che facevi?

“Ero iscritto al liceo scientifico e facevo lo studente, come succede a tanti. Ad un tratto mi sono “svegliato” e, con gli occhi spalancati, mi sono accorto che la mia vera passione è la cucina. Così mi sono iscritto all’Alberghiero e poi…”.

Poi?

“Poi ho iniziato a viaggiare nelle cucine di tuto il mondo. Viaggiare per lavorare, ovvio: ho cominciato a 17 anni nella cucina dello chef Luigi Pomata a Carloforte (Isola di S. Pietro, Sardegna, ndr). Poi in quella del “Malabar” in Perù. In seguito la Spagna, al ristorante “Nerua”, poi in Cile al “Borago”. Dal Cile son passato a Londra (“Tampopo”, cucina asiatica), poi l’Australia, poi…”.

Poi altre cucine, altre idee, altre avventure che ti hanno formato come uomo e come chef. Infine il ritorno in Italia. Cosa ti ha spinto al grande rientro?

“Avevo un progetto in testa. Meglio, avevamo, con i miei fratelli, mio padre e non solo. Ritual Lab, tempio della birra artigianale, poteva – e doveva – fungere da trampolino per un locale, un ristorante di alta cucina che fosse anche in grado di elevare la birra a bevanda veramente nobile, come succede spesso e volentieri in tante altre parti del mondo (e del Belpaese). Dove? Sempre qui, sempre a Formello; stesso luogo, stesso edificio, stessa passione…!”.

Detto fatto: nel 2021 nasce Mogano, ristorante la cui filosofia culinaria è appunto quella di elevare e legare la birra artigianale ad una tavola “fine dining” valorizzando prodotti tipici del territorio e promuovendo una cucina responsabile e senza sprechi. La cucina è un’arte, si sa. E l’arte, al Mogano, si “respira” nei piatti ma anche sulle pareti, dove troviamo i quadri di Pierluigi Bellacci per conferire al locale un’atmosfera delicata, affascinante, raccolta ma, nel contempo, evocatrice di spazi interminabili.

Torniamo a te: da quando avevi 17 anni chinato sui fornelli, 15, 16 ore al giorno. Ovviamente week-end e festivi sempre al “chiodo”. Ne è valsa la pena? È stata dura?

“Durissima, senza dubbio. Ma la passione, l’entusiasmo mi hanno aiutato a non pensare; non pensare alle rinunce, non pensare ai miei coetanei che la sera, la notte, la domenica e il sabato facevano il solito lavoro che si fa a vent’anni: facevano i ragazzi”.

Ti porgo una macchina del tempo, salici dentro e programma un viaggio a ritroso fino a tornare a dieci, quindici anni fa. Rifaresti esattamente tutto quello che hai fatto?

“Rispondo senza esitazioni: sì, assolutamente sì”.

Ritual Lab e Mogano sono oggi un punto di riferimento per i romani e non solo. Birra, sapore, colore e ottima cucina. Matteo, con tutta la “squadra”, continua a sfornare altri “conigli” dal cilindro, non ultimo il chiosco aperto a Ponte Milvio lo scorso 21 marzo, un progetto che porta la firma di tutta la famiglia: ancora birra, ancora sapore; ancora idee tutte da… assaggiare.

Il Far West non c’entra, certo che no. Però chiacchierando con Matteo ho avuto modo di vivere un’avventura tutt’altro che noiosa, ricca di colpi di scena a dir poco gustosi.

L’Italia si mette a tavola; L’Italia, a tavola, sa anche fare impresa.

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