“In parlamento qualcosa si muove”
C’è stato un tempo nel quale il bullismo era un fenomeno circoscritto, controllabile e – soprattutto – non troppo “doloroso”. Perché si fermava al portone della scuola e, fuori di lì, le vittime potevano riprendere fiato. Perché non c’era la Rete che lo ha reso “full time”. Ne parliamo con il noto penalista Eugenio Pini.
“Ai miei tempi era diverso; ai miei tempi era meno violento…”. È vero o no? Talvolta sì, spesso no. I ricordi, in quanto tali, diventano dolcissime nostalgie.
Ma qui si parla di bullismo. Ne parliamo con Eugenio Pini, notissimo penalista. Qualcuno l’avrà sentito quanto meno nominare a proposito del processo Cucchi: difendeva il vicebrigadiere Tedesco, quello che ha aperto uno squarcio su quanto accaduto 11 anni fa al geometra romano.
Che c’entra la nostalgia? C’entra perché il nostro interlocutore ci dice che il bullismo è un male antico, antichissimo e che anche “Ai miei tempi…”.
L’avvocato prosegue: “Una volta il bullismo, benché portatore di sofferenza, restava circoscritto nei suoi “territori” (la scuola, la palestra, gli scout…). Usciti da lì il persecutore svaniva…”.
Insomma anche i bulli non li fanno più come una volta… C’è poco da scherzare, però.
Avvocato, come ha conosciuto Bulli Stop?
“Nel 2014 un ragazzo si suicidò dopo essere stato additato (e deriso, e preso di mira in mille modi) come gay. Non era gay, ma non è questo il punto. Ci fu un processo ed io fui incaricato di tutelare gli interessi della sua famiglia. Così conobbi la presidente di Bulli Stop, Giovanna Pini (non siamo parenti, semplice omonimia). Sono poi diventato il legale del Centro Nazionale e, grazie all’impegno di tutti, riusciamo a dare assistenza legale alle famiglie coinvolte in casi di bullismo”.
Perché le sta a cuore il problema bullismo?
“Credo sia naturale, per tutti, parteggiare per il più debole, difenderlo. Anche il bullo, però, va aiutato. Mettiamola così: i ragazzi sono il nostro futuro, dobbiamo far sì che crescano nel migliore dei modi. Come? Facendo capire loro che non si può essere egoisti nemmeno con sé stessi: se fai del male prima o poi qualcuno ti presenterà il conto; dunque, pensaci…”.
Come si tiene al passo, in questo campo, la giurisprudenza?
“Fino ad oggi il bullismo, di per sé, non è un reato. Lo sono i reati sottesi al bullismo: estorsione, furto, lesioni, diffamazione e via dicendo. Ma il bullismo può produrre ferite invisibili a qualunque tribunale, poiché non sempre il bullo “mena”, non sempre lascia un segno esteriore tangibile.
Il legislatore ha cercato di correre ai ripari solo quando si è cominciato a parlare di cyberbullismo.
Ora il Parlamento sta finalmente per varare una nuova legge: si tratta di ampliare le fattispecie dello stalking (lo stalking è reato). Ed è già qualcosa…”.
Ma le leggi sono in grado di incidere sul quotidiano?
“Le leggi dovrebbero essere, sempre, frutto del sentire comune. Tutti siamo d’accordo che l’omicidio sia un atto esecrabile; il fatto che la legge lo punisca è universalmente accettato. Quando anche il bullismo diventerà una piaga riconosciuta da tutti (non solo una ragazzata, non qualcosa di circoscritto), la legge avrà il suo perché. Fondamentali poi l’educazione, la formazione: attivare un percorso per i genitori, gli studenti, i docenti per parlare e approfondire il fenomeno. Il nemico lo devi conoscere bene…”.
Bullo vittima e bullo “mostro” può una legge contemplare entrambi gli scenari?
“L’ordinamento italiano, per i reati meno gravi, in determinati casi, concede una seconda chance. Per quanto riguarda i minori, questi vanno aiutati sempre e comunque. Il giudice ha già gli strumenti per valutare ogni singolo caso”.
Lei ha avuto, da giovanissimo, incontri ravvicinati con il bullismo?
“Ebbene sì, da ragazzo sono stato una vittima anch’io, per il solo fatto di stare un anno avanti. Non affrontai di petto il problema, però. Forse perché, a quel tempo, tutto finiva con la campanella: lontano da scuola avevo gli amici, il rugby, più avanti la ragazza… Insomma il bullismo era “part-time”. Oggi no: oggi già quando suona la sveglia troviamo brutte sorprese nel telefonino; poi a scuola, poi fuori, ovunque. Cyber o non cyber, il bullo lavora no-stop”. Come i centri commerciali; niente da comprare però: solo pagare; e tanto.