“Redistribuiamo lo studio”
Il professor Franzini insegna Politica Economica presso la facoltà di Economia alla Sapienza di Roma. È, nel contempo, presidente ad interim dell’Istat e direttore della rivista online “Il Menabò di Etica e Economia”, facente parte dell’omonima Associazione. Con lui parliamo degli studenti di oggi, quelli di ieri, quelli che lavoreranno domani, quelli che sognano. Poi la povertà; economica? No, culturale. Che, spesso, fa assai più male…
“Fare il giornalista è sempre meglio che lavorare” disse una volta Luigi Barzini junior. Talvolta, però, è faticoso. Lo è, per esempio, quando ti trovi a tu per tu con un professore al quale devi porre domande inerenti la sua materia. Della sua materia non sai molto (lui sì, ne sa tanto, troppo) ma devi metterti in ballo, fare domande. Una risposta sbagliata può starci; ma se si sbaglia la domanda è molto peggio: trattasi di figuraccia senza se e senza ma.
Fortunatamente qui si parla anche di studenti, quelli del professor Franzini; quelli che lo hanno scelto come “best teacher” e che hanno voluto che lo ospitassimo tra queste pagine.
Professore, cominciamo da qui: come conquista, giorno per giorno, la stima e l’attenzione dei suoi ragazzi?
“La mia materia si lega alla vita quotidiana; si parla di me, di lei, di noi. Si osserva da vicino il nostro mondo, il nostro futuro, le strade che si aprono e quelle che si chiudono. Difficile che qualcuno si “annoi” o si senta inadeguato, come può succedere – per esempio – piegando la schiena su un testo di trigonometria o di analisi matematica… Gli studenti non vanno solo giudicati: vanno accompagnati per farli entrare in un mondo che, in fin dei conti, è il nostro, il loro”.
È il momento, anche per noi, di “entrare” nella materia. Fare domande pertinenti e anche – perché no – impertinenti. Proprio in questi giorni abbiamo letto molto a proposito proprio di politica economica, lavoro, futuro che c’è e che, dietro l’angolo, potrebbe scomparire. Qualcuno ha preconizzato che da qui a trentacinque anni il lavoro occuperà solo l’uno per cento del nostro tempo. Automazione e digitalizzazione già adesso stanno determinando la scomparsa di numerose figure professionali: il fattorino, il magazziniere, il centralinista, il bancario, il benzinaio… Diagnosi mediche e chirurgia da “remoto” (il processo è ampiamente cominciato un po’ ovunque) e via “futurando”. La domanda è: a parte chi progetta e “manovra” robot e software e chi regge i fili delle aziende, come si guadagneranno da vivere tutti gli altri? Anni fa il trattore sostituì il lavoro di dieci contadini, i quali dovettero impiegarsi altrove. Così fu, con alterne fortune, nel nostro recente passato. Bisogna vedere se domani ci sarà ancora un “altrove”. Meglio: bisogna far sì, oggi, che tutti si preparino per costruirlo. Pianificando le politiche economiche tutti insieme, gestendo le migrazioni in modo da tramutarle in ricchezza, scambio, crescita. Sfide difficili, impegnative che oggi, diciamolo, nessuno ha intrapreso con lungimiranza.
“La sfida – ci dice il professor Franzini – comincia dai banchi per partire, tutti, ad “armi pari”. Il primo step, nel Belpaese, è quello di rendere tutti gli atenei uguali dal punto di vista formativo. Perché devono esserci università di serie A e di serie B? Va bene premiare le eccellenze – che ci sono – ma non sarebbe una cattiva idea “aiutare” le università meno competitive. Il mondo, con l’istituzione della scuola dell’obbligo, è ampiamente migliorato. Si tratta di un dato incontrovertibile”.
Studiare per costruirsi un futuro. E per rimettere in moto l’ascensore sociale. È così, professore?
“Certo che è così. Siamo ancora al punto che la stragrande maggioranza dei laureati nasce da genitori “dottori”. Cambiare marcia si può; basta intervenire lì dove c’è più debolezza. Un sostegno, un aiuto che diventa investimento”.
Gli studenti di oggi: più apprensivi, più preoccupati del loro “domani” rispetto alle generazioni passate? Ancora: si informano, si occupano dell’attualità, del mondo che li circonda?
“Un po’ spaventati sì; ma si danno da fare, si guardano intorno, reagiscono bene… Informarsi? A modo loro, chi di più, chi di meno. Forse anche più inclini al condizionamento, ma non si può generalizzare”.
La chiacchierata finisce qui, ce la siamo cavata, più o meno.
Sempre meglio che lavorare…