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Intervista a
• Rita Lynch •
All’anagrafe è Benedetta Barlone, ma gli spettatori che hanno avuto il piacere di assistere alle sue performance di burlesque la conoscono come Rita Lynch. Eclettica, audace e determinata, ha fatto del palco la sua casa.
Il burlesque non è una forma di spettacolo molto popolare in Italia. Come è nata in te questa passione?
Nel 2011 ho avuto l’opportunità di partecipare a un programma televisivo di Sky, “Lady Burlesque”, e lì sono nata come performer. In realtà la mia carriera vera e propria è iniziata fuori dallo schermo: sono sempre stata un’attrice e una modella pin-up, fino a che, grazie a un percorso di riscoperta di me stessa, riconoscendomi nello stile degli anni Cinquanta mi sono finalmente sentita a mio agio. Quella per il burlesque è così diventata una vera passione, che si affianca al mio amore per il canto e la recitazione.
Da dove deriva il nome d’arte che hai scelto?
È nato all’interno del programma televisivo. La persona che si occupava di aiutarci mi disse che la mia faccia era quella tipica dei personaggi dei film di David Lynch, e caso ha voluto che lui fosse uno dei miei registi preferiti. Così mi è venuta in mente la sua pellicola “Mulholland Drive” e il personaggio di Rita e, proprio come nel film, lei è diventata il mio alter ego.
Modella, attrice, cantante e burlesque performer. Cosa lega tutti questi tuoi lati?
Il burlesque stesso: all’interno delle performance ci sono tutte queste parti di me. Le esperienze come modella mi hanno dato una conoscenza approfondita del mio corpo, del mio volto e delle mie espressioni. Quelle come cantante e attrice, invece, le capacità e la padronanza del palco.
Dopo aver lavorato anche all’estero credi ancora nell’Italia?
Sì, le mie origini sono il mio punto di forza. Credo in questo Paese fatto di arte e cultura, dove il teatro è parte della nostra storia. Con questi presupposti il burlesque, qui, potrebbe trovare un terreno fertile per essere un vero spettacolo di qualità. Il problema è che in Italia si preferisce fare sempre le stesse cose e rimanere in una zona di comfort.
Cosa ne pensi dei tanti giovani che partono per l’estero?
È una scelta di vita che comprendo. All’estero si lavora bene e ci si riempie di una carica incredibile. Tornata dalla mia esperienza lavorativa in Germania ero piena di energia: il problema è che, arrivata qui, mi sono scaricata in un attimo, perché ho visto che non era cambiato nulla. Per adesso scelgo di rimanere nel mio Paese: voglio provare a dare il mio contributo affinché le persone capiscano che il burlesque non è semplicemente togliersi i vestiti.
A proposito del dare il tuo contribuito, il 9 dicembre debutterai al Teatro Portaportese di Roma con un tuo progetto teatrale dal titolo “Red House”. Di cosa si tratta?
È uno spettacolo ideato, scritto e autoprodotto da me. Ho cercato di concentrare al suo interno tutto ciò che ho visto e appreso nei miei viaggi all’estero. “Red House” vuol essere qualcosa di diverso da tutto ciò che gli spettatori sono stati abituati a vedere. Da qui nasce anche il sottotitolo, “A Dirty Variety Show”. Si parla di “sporco” perché lo spettacolo è una commistione di generi: dal cabaret tedesco, al musical americano passando per il varietà all’italiana, in un mix di canzoni, numeri circensi e coreografie. Il cast è composto da artisti che ho incontrato nella mia carriera: grandi professionisti che hanno creduto nel progetto.