ARTE: “Sotto il pennello tutto”

“Sotto il pennello, tutto”

 

 

Il pennello, o lo scalpello, con i quali – da secoli – l’uomo ha raccontato il mondo. Raccontare, denunciare, aprire gli occhi a chi, di solito, preferisce (e preferiva) tenerli socchiusi. L’arte, da sempre, “lavora” così. Ne parliamo con Flaminia Gennari Santori, direttore della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma.

 

La storia dell’arte l’abbiamo studiata tutti. Tutti, ai tempi della scuola, abbiam dovuto assimilare il Barocco, l’Impressionismo, il Romanico. Il Rinascimento, le correnti, i ragazzi “di bottega” che han superato il maestro.

Qualcuno si è fatto prendere dalla passione mentre altri hanno scelto strade diverse. Ma nel Belpaese tutte le strade prima o poi ci portano all’arte. Perché arte non è solo imparare i nomi delle correnti, le tecniche, la scelta del colore. È soprattutto passione, paura, sogno, progetto, denuncia, lotta.

“C’è bisogno, ogni tanto, di uscire dai canoni didascalici della storia dell’arte: i nomi, le date, le correnti… l’arte è vita. La vita e le idee degli artisti che “scrivono” di sé e che, con il pennello, son capaci di procurarci emozioni, turbamenti, riflessioni. Arte e bellezza: una bellezza che si può guardare anche senza sapere chi è l’autore, quale secolo, quale città…”.

A parlare così è Flaminia Gennari Santori che da quattro anni dirige la Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma. Palazzo Barberini e Palazzo Corsini, due “contenitori” di emozioni senza tempo che richiamano visitatori da tutto il mondo.

Un mondo che la dottoressa Gennari Santori ha girato in lungo e in largo, sempre con lo sguardo rivolto alla bellezza. La bellezza di un dipinto, di una scultura lignea, di un affresco, di una cupola, di un colonnato che – nei secoli – pur perdendo un po’ di colore non hanno mai smesso di affascinare ed estasiare il pubblico.

Cosa l’ha portata a lavorare in questo campo?

“Forse la consuetudine a viaggiare, visitare, osservare spinta da un padre che mi portava a vedere mostre e musei fin da piccolissima. Dopo la maturità mi trasferii a New York dove un mio zio, proprio come papà, mi fece da cicerone lungo i musei della Grande Mela. Tornata a Roma ho lavorato nella galleria di Alessandra Bonomo curando mostre di Schifano, Poetti e altri. A vent’anni decisi che questo doveva essere il mio mondo”.

 

Il curriculum di Flaminia Gennari Santori ne è la conferma: vincitrice di una borsa come “research fellow” al Metropolitan di NY, chief curator del Vizaga Museum and Gardens di Miami, docente universitaria al di là e al di qua dell’Oceano. Fino ad arrivare al 2015: si torna in Italia per dirigere una tra le istituzioni museali più importanti del Paese.

 

Quali erano le sue ambizioni e le sue paure durante l’infanzia e l’adolescenza?

“Non avevo troppa paura e questo, forse, non è positivo: la paura è un ottimo antidoto contro la spericolatezza, le scelte avventate. Incertezze non le ricordo ma vale quel che ho già detto sulla paura: il dubbio aiuta a crescere. Aiutano anche le speranze, le passioni; io avevo quella di viaggiare. Visitare, scoprire. E la famiglia, in questo, mi ha assai aiutata”.

Quando arriva la fortuna c’è chi è pronto e chi no. A lei com’è andata? Quale la molla che l’ha portata a quest’incarico prestigioso?

“La disoccupazione! (Ride, NdR). No, scherzo. Quando sono arrivata qui avevo 46 anni, non più una ragazzina, e con un curriculum ormai ben delineato. Poi, certo, c’è anche qualche elemento fortuito (non fortunato, c’è differenza): il lavoro a Miami mi aveva un po’ stancato e, soprattutto, con la nascita di mia figlia decisi di tornare in Italia; qui ho iniziato a collaborare con degli atenei e qui ho sostenuto il concorso che mi ha portata dove sono ora”.

Lavoro e famiglia come si conciliano?

“Con un padre presente, con una tata efficiente e “carina”, con gli amici. Le dinamiche familiari sono cambiate. Oggi si può”.

Dirigere una Galleria Nazionale: quali le strategie e gli aspetti che fanno la differenza?

“L’obiettivo centrale e principale di un direttore di museo, e in particolare di un museo italiano, è raggiungere, sensibilizzare, stimolare e persino sfidare il pubblico. Questo è particolarmente vero per i musei italiani dove la tutela del patrimonio ha sempre guidato la politica culturale a discapito del coinvolgimento dei visitatori”.

Le sue più importanti iniziative e gli eventuali cambi di rotta da lei assunti da quando riveste questo incarico

“Ritengo che le iniziative più importanti che ho messo in campo siano state le mostre in cui Palazzo Barberini e la Galleria Corsini hanno incontrato l’arte del Novecento e contemporanea. L’esposizione di Parade di Picasso nel 2017, le mostre Eco e Narciso nel 2018 e Mapplethorpe nel 2019, hanno permesso sia a noi che al pubblico di guardare la collezione con occhi nuovi, di riscoprirla. Queste iniziative credo siano fondamentali per definire la nostra identità e renderci riconoscibili: stiamo diventando il museo dove il presente e il passato si incontrano”.

Come spiegare ai giovani e non solo a loro che un’opera d’arte “grida” molto più di quanto si possa fare oggi ubriacandosi di Social?

È più facile di quanto si creda. Anzi, l’onnipresenza delle immagini ci rende più propensi ad osservare. I social hanno demolito il muro che separa la cultura “alta” da quella “bassa”, cosicché tutti possono toccare, vedere, discutere di arte, di bello. Perché per assorbire il bello, per goderne, non è obbligatorio spendere giorni, mesi chinati sui libri di storia dell’arte; e se lo dico io…”.

Il patrimonio artistico genera turismo e occupazione, per non parlare dell’indotto. Ma l’arte, si dice, non può assoggettarsi solo alle leggi del mercato; s rischia di farla divenire un lusso, un bene non fruibile da tutti. Però musei, gallerie, monumenti hanno bisogno di cure costose, di professionalità, sorveglianza… La domanda è: come vendere l’arte al pubblico? Biglietto “caro” o prezzi popolari?

“L’arte deve costare poco. Meglio vendere quattro biglietti a prezzo ridotto che uno solo a prezzo pieno. Per reperire i fondi per manutenere musei, gallerie, siti archeologici ci sono altri sistemi: eventi, spettacoli, conferenze, cinema… Musei e gallerie sono luoghi vivi e, in quanto tali, una ricchezza”.

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