ARTE: “Luna, che fai tu in cielo?”

Luna, che fai tu in cielo?

 

Se lo chiedeva Leopardi per bocca del “pastore errante”. Se lo son chiesti in tanti, non solo a Recanati, nei secoli precedenti e successivi. “Lei” sta lì, non troppo vicina e non troppo lontana. Perché? Forse per tenersi a distanza dalla “piccola” umanità; forse per conservare il suo alone di mistero, poesia, emozione, ricordo. Come farla scendere? Ci ha pensato Paola Romano; vediamo come. E dove.

 

Cinquant’anni fa Neil Armstrong e Buzz Aldrin si fecero una lunga passeggiata sul suolo lunare (Collins, povero lui, fu lasciato a gironzolare nello spazio). Sulla Terra mezzo miliardo tra uomini e donne restarono appiccicati al piccolo schermo per godersi lo spettacolo. Uno spettacolo sì emozionante, sì irripetibile ma che – volenti o nolenti – segnava (segnò) la fine di secoli di leggende, poesie, mistero. La Luna, signore e signori, addì 20 luglio 1969, diventa quel che è sempre stato: una grande palla di sabbia e roccia. Una palla irrespirabile (non c’è aria, si sa) e piena di buchi.

Signore e signori, potete smettere: smettere di innamorarvi sotto la sua luce; smettere di sospirare, smettere di comporre versi ispirati. Basta così: è solo un pallone di terra, fango, buchi e sabbia.

Questo pensarono tutti. Lo pensarono gli ingegneri di Houston, i professori, i camionisti, gli assicuratori, gli scolari, i soldati: la Luna l’abbiamo catturata, calpestata. La Luna non sogna e non ci fa più sognare.

Il 1969 è lontano e oggi lo possiamo dire; possiamo dirlo a voce altissima: la Luna è ancora lassù, è ancora lontana, lontanissima. La Luna è sempre misteriosa, poetica, buia e luminosa; la Luna talvolta fa paura e altre volte è rassicurante. Sì, la Luna fa innamorare ancora, nonostante gli scarponi di Armstrong & C.

Rieccoci sulla Terra. Dove andiamo? Andiamo a Roma per incontrare Paola Romano, pittrice, scultrice e artista un po’… lunatica.

Paola in quel celebre luglio aveva più o meno 18 anni; anche lei seguìl’impresa. Anche lei si emozionò, tremò, sorrise assistendo al celebre battibecco tra Tito Stagno e Ruggero Orlando (“Ha toccato…!” – “Macché, sta toccando adesso!” – “No Ruggero, no Ruggero…!”). Una nottata condivisa con milioni di “terrestri”. Notte che Paola decise di conservare nello scrigno che aveva incastonato in sé. Qualche anno dopo quello scrigno si aprirà…

Paola Romano, pittrice e scultrice. Come comincia questa storia?

“Questa storia comincia tra le pareti di un negozio di parrucchiere a Roma Nord. Paola Romano (io) faceva la podologa. Paola Romano (io) forse non sapeva, non prevedeva ancora quel che sarebbe accaduto nel suo futuro. Ma Paola Romano (io) amava disegnare, le piaceva dipingere”.

Andiamo avanti?

“Sì, andiamo: copiavo (meglio: reinterpretavo) le locandine pubblicitarie che affollavano le vetrine del negozio: profumi, balsami, shampoo, creme… Le clienti si accorsero dei miei lavori, iniziarono a chiedermene, a fare “ordinazioni”. Cominciò così. Mi iscrissi poi alla RUFA di via Benaco (Rome University of Fine Arts, e siamo sempre a Roma Nord), accademia riconosciuta dal Miur. Da cosa nasce cosa, cominciai a farmi notare da qualche critico, qualche gallerista. La prima mostra? Alla Galleria dei Leoni di via Margutta. Non mi chieda le date, per carità. A spanne direi che siamo alla fine degli anni ‘90”.

Siamo ancora al pennello, ai quadri. Poi arriverà la Luna; le lune di Paola. Come, dove, perché…?

“Ho sempre amato la fantascienza, l’astronomia, l’idea dell’Universo dove siamo sospesi come granelli minuscoli, insignificanti al cospetto delle “misure” cosmiche. Quella notte del ’69 me la ricordo bene; tutti guardavano l’Uomo, io guardavo la Luna. Ecco, a grandi linee è andata così. È andata che mi piaceva – mi piace – studiare, toccare, modellare la materia; addomesticarla, schiacciarla, farla mia…”.

Paola si ferma un attimo, chiede una pausa. Perché ricordare, rivangare nomi di gallerie, date, premi non le piace troppo. “Che giorno era, dove, con chi… Che importanza ha?”.

Le concediamo la pausa, continuiamo noi. Dopo la Rufa Paola iniziò (siamo intorno al 2000) a creare le sue opere fortemente materiche: toccare, soppesare, “sentire” la materia. Ci siamo; siamo alla Luna, anzi “le” lune: planimetrie, plastiche, la serie “zoom”… Le lune di Paola riempiranno i cieli di via Margutta poi andranno a New York, alla Biennale di Venezia (2011: il Padiglione Italia lo curava Sgarbi, non proprio uno che si accontenta di poco…). L’anno scorso una mostra nella “Grande Mela” e per l’anno prossimo Paola è già stata “prenotata” per l’Expo di Dubai.

Le lune di Paola sono un impasto di legno, cenere, sassi, sale grosso. Materia e ruvidità, come fu per chi – cinquant’anni or sono – fece quella celebre passeggiata.

Luna da appendere o da “abitare”, tridimensionale. Luna che Paola ha trascinato sulla Terra senza violarla, “violentarla”, renderla prosaica.

Quanto è difficile, Paola, trasformare una passione nel proprio lavoro?

“Difficilissimo, specie nel nostro ambiente. Amo la schiettezza, ergo qui lo dico e qui lo confermo: spesso e volentieri i galleristi si fanno pagare; e si fanno pagare, salatissimamente, i critici, per recensirti. Non faccio nomi (li ha fatti per la verità, ma noi per stavolta li tacciamo) ma le cose, cari signori, stanno anche così”.

Vuol dire che chi ha vent’anni oggi, volendo prendere questa strada è meglio che rinunci?

“No, non esageriamo: se ci metti passione, se ci credi prima o poi ce la farai. Fare gavetta, tanta gavetta. Gavetta e umiltà. Nessuno ti regala niente, e questo non è uno scoop”.

Siamo avvertiti: inutile pretendere; inutile chiedere… la Luna. Accontentiamoci di passeggiare sulle lune di Paola.

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