ARTE E CULTURA: Tela d’asfalto

Londra in galleria. Anzi: Londra come un’immensa galleria d’arte. Città da colorare, ricoprire, ridisegnare con infiniti “quadri” che camminano sulle pareti, sui palazzi, tra i vicoli buoi e i viali accecati dal traffico. C’era una volta la Street Art: sorprendente o dissacrante, talvolta anche “vandalica”. Poi è arrivato Endless ad aprire – e colorare – nuove strade. Ce ne parla lui stesso.

 

Ti svegli, esci di casa e ti convinci di esserti perso: il tuo quartiere è cambiato, i palazzi sono avvolti in colori mai visti, il faccione della Regina ricopre un’intera facciata mentre, di fronte, il principe Carlo la guarda con aria sorniona, quasi assonnata.

Dove sono? Che succede? È ancora questa la mia città, la mia Londra? Certo che sì – si risponde un secondo dopo lui (o lei), cittadino disorientato a passeggio nella capitale del Regno –: è la mia Londra di sempre; ma più colorata, più intensa. E, perché no, anche più divertente..!

Londra “vestita” di Endless, artista che proprio qui – utilizzando i muri, i palazzi come tele – ha iniziato e che, oggi, esibisce i suoi lavori nelle Gallerie di tutto il mondo. Ma la strada, ancora adesso, è per lui il “laboratorio” più sincero.

Endless è stato conteso da celeberrimi brand per le loro campagne pubblicitarie ed ha anche realizzato importanti lavori “social”, tra i quali citiamo una campagna di sensibilizzazione sul tumore ai testicoli (Feeling Nuts) utilizzata dall’emittente Channel 4.

Com’è nata la sua passione per l’arte?

“Fin dai primi ricordi che ho di me sono sempre stato un artista; crescendo, poi, è cresciuta anche la mia conoscenza e, con questa, la mia pratica artistica. Una passione costante, che non si è mai spenta”.

Il suo stile è inconfondibile, un vero e proprio “marchio di fabbrica”. È “figlio” di un momento, di un episodio particolare della sua vita? Se è così può ricordarcelo, descrivercelo?

“Il mio stile? Non è univoco, non si è mai “fermato”. È in continua evoluzione, in crescita. Ho imparato e imparerò nuove tecniche e tante altre dovrò sperimentarne… Un artista, un vero artista non deve aver paura di cambiare direzione, di rielaborare le idee e, ne consegue, cambiare stile”.

La Street Art si ama o si detesta. Tra i detrattori più accanitic’è chi sostiene che è un modo per autorizzare la gente (specie i giovani e i giovanissimi) a imbrattare muri, saracinesche, palazzi fino a sfigurare irrimediabilmente gli edifici “importanti” di pregio storico e architettonico. Poi ci sono i “professionisti”, quelli che, come lei, vanno oltre il verbo imbrattare. Ma le amministrazioni comunali, i sindaci, hanno difficoltà a concedere spazi ad alcuni e negarli ad altri: come motivare la scelta senzaoffendere nessuno? Secondo lei come se ne esce?

“Dobbiamo ricordare che la Street Art ha avuto origine dai graffiti; i graffiti, a loro volta, sono nati dai “tag”. Il “tagging” non è ben visto perché i tag che si vedono in giro per le città, a volte anche sugli edifici antichi, sono considerati un danno, uno sfregio. Ma se gli “sfregi” fossero firmati da Bansky (artista e writer tra i maggiori esponenti della Street Art, anche lui inglese, NdR) nessuno fiaterebbe più.

È sempre così: la percezione di un oggetto, di un atto, di un’opera cambia a seconda del valore economico che gli si dà. A me piace: mi piace che questo confonda le persone perché l’arte a questo serve; serve a porsi delle domande, a farti arrabbiare o farti provare un attimo di felicità. L’arte è “buona” quando ti fa provare qualche emozione; è questo il vero senso dell’arte”.

Parliamo della sua… gavetta: quando e come ha incontrato difficoltà, ostacoli, porte “chiuse”…

“L’artista è solo, lavora da solo; stando soli, succede sempre, ci si imbatte in situazioni difficili e – all’inizio – tutte le porte sono inesorabilmente chiuse. Il 90% dell’essere artista consiste nell’avere un progetto, un “piano” da perseguire. Non esistono, non ci sono metodologie preimpostate per riuscire ad essere creativi”.

La Street Art è per definizione provocatoria, dissacrante, aggressiva. Non lascia molto spazio al compromesso: lancia accuse, irride, mette a nudo i tic e le contraddizioni della società senza falsi pudori. Per questo è difficile, per l’artista, essere accettato nei salotti “buoni”, compresi quelli degli addetti ai lavori. Lei, invece, incassa stima e riconoscimenti in ogni dove. Come ha fatto?

“Semplicemente non mi considero un esponente della Street Art: scelgo di mostrare le mie opere sulla strada perché mi sembra naturale che le mie opere siano lì, “vivano” sulla strada”.

Cosa vuole comunicare con le sue opere, la sua satira “on the wall”?

“La mia comunicazione deriva dal modo con cui interagiamo con le immagini trasmesse dalle pubblicità e dai brand. Quando mostro le mie opere per strada amo suscitare domande nello spettatore: è facile vedere i miei lavori in un’estetica bidimensionale, ma vi sono poi tanti altri significati e mi piace quando lo spettatore si sforza per trovare una diversa chiave di lettura… Ogni “chiave” ha la sua dignità, non ve ne sono di giuste o di sbagliate”.

In che modo, in un mondo pieno di artisti con le loro idee, le loro intuizioni, le innovazioni e gli stili che si rincorrono e si rinnovano lei è riuscito a distinguersi, specie nel campo della Street Art, dove la concorrenza non manca?

“L’arte è un fatto, niente concorrenza, un atto personale. Finché riesco a trasformare un’idea in realtà, la considero una vittoria.

Per chiunque voglia intraprendere questa strada il mio consiglio è questo: una volta che hai imparato la parte pratica e che hai le tue idee, crea e basta; non guadare quel che fanno gli altri e credi fermamente nel tuo lavoro. Se talvolta ti senti un po’perso, insicuro – ed è normalissimo – continua a creare finché non succede qualcosa. E non dare troppa importanza ai social…”.

L’intervista finisce qui, si torna fuori, in strada. E la strada, le strade d’ora in poi le guarderemo con altri occhi.

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