ARTE E CULTURA: “Conversazioni istantanee”

“Conversazioni istantanee”

Istantanee, perché nascono da uno scatto; poi gli scatti diventano due, cento, diecimila foto. Istantanee ma interminabili, perché le idee, la vita, le lotte, la paura, l’allegria, le domande e le risposte che “scorrono” nelle immagini di Giacomo (Jack) Braglia stimolano mille discorsi, mille emozioni, mille ripensamenti. L’uomo, la natura, la Terra, i sogni parlano; anzi: gridano.

 

Ventidue anni; come si fa, in soli ventidue anni, a raccontare il mondo intero, guardarlo “dentro”, esplorarlo negli angoli più remoti e farlo anche “parlare”? Sì, perché il mondo di Giacomo (Jack) Braglia – nato a Lugano nel 1996, anni ventidue – è capace di tutto questo. È capace, cioè, di narrare per filo e per segno un viaggio, un pianto, una conquista, una speranza abortita, uno sforzo, un capriccio della natura. Ancora: un sogno, l’essenza animale dell’uomo, l’infanzia “adulta” e la vecchiaia che sa ancora esser bambina.

Uomini e donne, stagioni, animali, luci che accendono idee e spengono opinioni… Queste le “conversazioni” di Jack. “Le mie mostre – ci dice – si chiamano tutte così; si chiamano “Conversation” perché ogni scatto deve stimolare nello spettatore un’emozione; lo spettatore guarda, prova a capire, prova ad attraversare il mio obiettivo per arrivare al mio occhio, a quello che io ho visto, quello che io voglio dire con questa o quella foto. Poi si fa la strada a ritroso, si esce dal mio obiettivo (e dal mio occhio), e si prova a percepire con lo sguardo proprio dello spettatore…”.

 

Così cominciano le “conversazioni”; interminabili, sorprendenti, ricche di colpi di scena. “Conversation with opposites”, “with silence” with winter”, “with Etiopia”…. Quest’ultima esposizione, prima “personale”, si tenne nel 2017 presso la Contini ArtUK di Londra. È stato proprio Stefano Contini a valorizzare le opere di Jack, portando i suoi scatti in giro per il mondo (l’ultima mostra, maggio 2018, si è tenuta presso la Galleria Contini di Venezia).

Jack e l’Africa; un continente, un mondo che per il giovane artista è tutto da scoprire, raccontare, vivere dal di dentro. Jack la conosce bene, l’Africa, anche grazie al fatto che proprio la famiglia Braglia ha dato vita nel 2007 alla Fondazione “Nuovo Fiore in Africa” che si occupa di salute, alfabetizzazione, Empowerment dei bambini.

“In Etiopia abbiamo contribuito alla nascita di dieci nuove scuole; altre cinque sono sorte qua e là nel continente (Congo, Sud Sudan, Madagascar…) – precisa Jack”.

Quando è scattata in te la “scintilla” che ha acceso questa tua passione artistica?

“Sono cresciuto nell’arte, che mi ha “cullato” nell’infanzia e anche dopo. Alla fotografia mi ci sono avvicinato grazie a mio nonno Gabriele, appassionatissimo, che ha avuto grande influenza sulla mia evoluzione artistica. Anche lui esponeva le sue foto, mi mostrò i cataloghi delle sue mostre e, lentamente, mi trascinò dentro questa magia. A undici anni ebbi in dono la mia prima macchinetta fotografica; tre/quattro anni dopo iniziai a “produrre” scatti a ripetizione, per non fermarmi più. Poi i viaggi, l’Africa in primis: ho cominciato ad andarci a diciassette anni”.

Infine il traguardo, il punto d’arrivo (o di partenza?) alla Galleria Contini. E prima? Quante delusioni, quali ostacoli, quante porte in faccia?

“Critiche, biasimi li abbiamo avuti tutti; è successo anche a me, ovvio. Poi gli amici, i familiari, le persone a cui tieni ti danno la forza di insistere, di credere. Ecco la parola giusta, il verbo: credere. Credere in sé stessi, nel valore del proprio lavoro. Crederci anche quando qualcuno tenta di farti cambiare idea e appoggiarsi, viceversa, a chi mostra interesse per le tue “produzioni”. E si torna ai Contini, amici di famiglia da tempo immemorabile. Mostrai a Stefano alcuni scatti fatti in Etiopia; lui mi disse: tornaci, fanne degli altri, vedo se riesco a farti fare una mostra…”. Tornai in Africa, gli mostrai le nuove foto e lui, secco, disse: “Ok, facciamola”. Ha voluto credere in me ma, soprattutto, ho voluto crederci io”.

L’arte, da che mondo è mondo, non è un lavoro fine a sé stesso: serve per comunicare. Tu ci riesci?

“Son convinto di sì. Comunicare, stimolare, accendere una discussione. Anche un diverbio, perché no? Siamo di nuovo alle “Conversation”, che devono essere accese, durature, ricche di nuovi spunti. E ora, per unire la mia passione per la fotografia con quella per l’arte propriamente intesa, scultura in primis, ho realizzato dei busti in gesso su cui “spalmare” le mie foto. Un modo per dare maggiore vita, maggiore forza e fisicità alle immagini, e alle… conversazioni!”.

L’arte, volenti o nolenti è anche prezzi che salgono e scendono, artisti che “esplodono” e altri che si… deprezzano. In una parola: mercato. A seguire, la concorrenza. Qual è il tuo approccio a tutto questo?

“Non bisogna avere paura, mai farsi sovrastare dalle classifiche, dalla corsa al “primo posto”. La concorrenza e il mercato ci sono, ci saranno sempre, e io continuerò’ a fare le mie Conversazioni”.

Come e dove ti vedi tra dieci anni?

“Ancora e sempre a fare quello che faccio; spero, però, di implementare sempre più le mie foto in “3D” con nuovi materiali ed idee”.

Un consiglio ai tuoi coetanei che vogliano intraprendere un percorso artistico?

“Vivere la vita ogni giorno; nessun giorno va mai “scartato”, buttato via. Lavorare al massimo, con perseveranza, senza farsi abbattere dalle “porte chiuse”. Prima o poi arriveranno quelle socchiuse e quelle spalancate: troverete qualcuno che crede nel vostro lavoro, nelle vostre creazioni e vi spingerà per spiccare il grande salto”.

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