ARTE E CULTURA: Meneghetti

Meneghetti: la libertà ai Raggi X

 

Libertà di scegliere e “scegliersi”, libertà di esplorare, di guardare il mondo per piegarlo al proprio sguardo. Libertà di dipingere, scolpire, girare film o comporre musica senza soluzione di continuità. Libertà di essere artista per passione, senza badare al mercato e senza curarsi di ingraziarsi i critici. Il pennello, lo spartito, la cinepresa, lo scalpello e… le radiografie. È Renato Meneghetti, che di sé dice: “Sono un giovane settantunenne che non ha mai smesso di dipingere”.

“Mi conceda di essere un po’ presuntuoso: cinque biennali a Venezia con cinque arti diverse. Cinquant’anni di pittura, musica, cinema, scultura, ricerca… Ecco, questo sono io; e non è ancora finita”.

Così esordisce Renato Meneghetti; è l’inizio di un’intervista faticosa, perché chi pensava di avere il coltello (il bloc notes) dalla parte del manico si è subito accorto che non è possibile fare il giornalista, scegliere gli argomenti da approfondire e quelli solo da sfiorare. Meneghetti è un fiume in piena, interrompe, precede le domande e risponde pure a quelle che non gli fai, e questo non è male.

Non si può seguire uno schema, un ordine. Quale ordine? Cronologico? O per discipline? Musica, scultura, pittura, cinema, fotografia; oppure per esposizioni… No, al “volante” dell’intervista c’è lui, Renato Meneghetti, anni settantuno, artista già imprenditore, osservatore e provocatore, sognatore un po’ disincantato, pragmatico e poliedrico.

Renato nasce a Rosà di Vicenza nel 1947. Nel ‘53, a sei anni, si cimenta con la pittura copiando una natura morta di Arturo Tosi. Ma lasciamo parlare lui abbozzando, timidamente, una domanda.

Cinque opere per altrettante Biennali di Venezia; cosa può raccontarmi in proposito?

“All’inizio degli Anni 80 componevo musica al Centro di Ricerca Sonologica dell’Università di Padova. Produssi il mio primo concerto e un libro fotografico, “Insania”, che presentai a Venezia nel 1982 con un’installazione particolare: cento manichini da me diretti sostituivano i musicisti nell’atto di suonare: suonava il computer. C’erano le immagini, c’era il suono, mancava il movimento. Così ho girato un film, presentato da Gregory J. Markopoulos, “Divergenze Parallele”, 103 minuti in concorso al Festival del Cinema a Venezia nel 1983. Una pellicola pluripremiata che, decenni dopo, mi è stata richiesta dalla Cineteca Nazionale di Roma”.

Inutile elencare e raccontare le altre Biennali, architettura, arti visive... meglio far proseguire lui, saltando avanti e indietro tra le pagine dei calendari.

“La scultura? È nata in fabbrica: in un tempo lontano ho lavorato in un’azienda metalmeccanica come disegnatore. Chiesi agli operai di insegnarmi le saldature; così nacque la mia prima scultura, “Don Chisciotte 900”. Non ho più smesso”.

Durante il servizio di leva, 1968, si guadagnò il favore dei superiori a forza di ritratti. Tra i suoi commilitoni c’era anche Gianni Morandi al quale non rifiutò di disegnare qualche copertina per i suoi dischi. Prima della naja, siamo nel ‘67, inizia una nuova ricerca con la serie “Pre-fago” dando vita al ciclo “Fagocitatrici” per etichettare gli asservitori e gli asserviti al potere e al denaro. Lucio Fontana pubblicò un saggio su queste opere.

Già, le recensioni: i critici, gli “addetti ai lavori” hanno sempre avuto un rapporto “bipolare” con Renato: qualche volta lo snobbano, e, un minuto dopo o qualche decennio dopo, lo acclamano, lo pregano di esporre. È successo con il compianto Gillo Dorfles, che nel 1980 si rifiutò di occuparsi di lui e, nel 2000, scrisse che “Le sue opere x-ray sono l’unico fatto nuovo degli ultimi vent’anni”.

Samo alle Radiografie, ennesima tecnica esplorata e adottata dall’artista.

Come nascono le x-ray?

“Dalla malattia di un mio caro: girando il mondo per salvargli la vita e visionando decine di lastre mi sono accorto che tutto quello che vediamo, dalla neve agli alberi, dalle foglie alle nuvole, è già dentro di noi. Non esiste mare in tempesta più bello, più vero, di un cervelletto attraversato dai raggi X”.

Siamo agli Anni 80 e abbiamo saltato mille storie, mille mostre. Pur rinunciando alle domande mi trovo immerso in un mare di risposte e di scoop. Sono costretto a tagliare, prosciugare parte di questo oceano gonfio di aneddoti e di successi.

Esaurite le lastre di parenti e amici Renato si butta negli autoritratti radiografici perché nessuno gli toglie dalla testa che il mondo è lì, passa lì dentro. “Che sia una colonna vertebrale o una palma, quello che si vede ai raggi X è uguale, ernia del disco compresa. Così nel 2000 ho allestito la mostra di cui tanto ha scritto Pierre Restany “Paralleli Vertebrali”, simulando un’oasi di palme liofilizzate, alte tra gli 80 cm e i 4 metri; c’era l’albero e c’eravamo noi…”.

Quest’intervista l’abbiamo chiamata “libertà”. Perché Meneghetti non ha mai piegato la sua arte al dio Mercato. Non ne aveva bisogno, avendo fondato e gestito una tra le più grandi agenzie di comunicazione e pubblicità negli Anni 70 e 80. Imprenditore e “collezionista” di ville e castelli.

“Le mostre? Non ci pensavo. Mai fatta una mostra per vendere! Solo in importanti Musei, mai gallerie private”.

Solo dal 2006, spinto da Achille Bonito Oliva, suo grande estimatore, inizia a vendere le sue opere per diffonderle tra i collezionisti privati. Oggi la galleria di riferimento per le sue opere è “Contini Art Uk”.

Ci sarebbe molto altro da dire, lasciamo parlare le immagini e, per tuto il resto, riportiamo l’indirizzo del Sito ufficiale: www.meneghettirenato.com.

La Gioconda era un uomo o una donna? Questa domanda non la faccio io, è vecchia di secoli. Meneghetti si è radiografato la spalla ed ha sovrapposto la lastra su Monna Lisa. Oppure l’opera “Il Cristo morto del Mantegna in x-ray”, 2011, di nuovo alla Biennale, installazione che Francesco Buranelli ha voluto per il Vaticano in Santa Maria in Montesanto a Roma.

Cinquant’anni di idee, di esperimenti, di rabbia e linguaggi innovativi. Tuto questo è Renato Meneghetti. Potevamo intitolare “Meneghetti ai raggi X?” No, il radiologo è lui.

 

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