In Galleria accendere le luci
Non siamo in autostrada: siamo nel Centro di Pietrasanta, provincia di Lucca. Qui le luci le ha accese Barbara Paci diciassette anni fa nella sua omonima Galleria (da qui la G miauscola). Fare luce sulla bellezza e sull’emozione. Luci della pittura e della scultura contemporanee, fari puntati su idee e artisti provenienti da ogni dove. Perché in Italia la bellezza non è mai abbastanza e per fortuna c’è chi – come Barbara – sa valorizzarla.
Intervista a Barbara Paci
Barbara Paci è nata a Venezia cinquant’anni fa. Domanda: ci resterà male leggendo che abbiamo subito rivelato questo dato anagrafico? Siamo sicuri di no perché lei sa bene – visto il lavoro che ha scelto – che emozione e bellezza non badano ai numeri. Puoi avere dieci anni o trenta, cinque o cinquecento senza perdere quella freschezza, quella capacità di ridere e piangere osservando un dipinto o seguendo le curve – imprevedibili – di una scultura che sembra respirare, sussurrare e, talvolta, gridare a squarciagola. Ridere e piangere e mettersi in gioco come fanno i bambini e poi i ragazzi; ragazzi e ragazze, certo. A vent’anni, a quindici; o a cinquanta. Perché Barbara è donna ed è ragazza: ne ha il physique du rôle e ne ha – soprattutto – lo sguardo. Sguardo attento, allenato, uno di quelli capaci di capire al volo quando val la pena fermarsi per contemplare una forma, un colore, una luce; o un’ombra. Contemplare e – subito dopo – decidere: decidere che quell’opera, quel quadro, quella installazione deve godere della luce “giusta”. Un’opera da valorizzare, da “raccontare” al pubblico. E la “luce giusta”, spesso e volentieri, è accesa a in piazza Duomo o in via Garibaldi. Una galleria, due indirizzi. Siamo arrivati: siamo alla Barbara Paci Art Gallery, Pietrasanta – Lucca.
Ma questa storia deve cominciare… dall’inizio. E il giusto inizio ce lo può fornire solo la diretta interessata.
Come nasce – e dove – la gallerista Barbara Paci?
“Nasce (sono nata) a Venezia, città nella quale son rimasta fino alla fine delle elementari. Mia madre insegnava educazione artistica nelle scuole medie, mia nonna era pittrice… L’arte, insomma, la respiravo a pieni polmoni fin da bambina; la respiravo in famiglia e nei dintorni, ovviamente: Venezia sull’arte ti ci fa camminare dietro ogni angolo. Dopo Venezia la Toscana, dove ci trasferimmo dopo la separazione dei miei genitori. Insomma la mia infanzia e la mia adolescenza le ho spese in luoghi dove era impossibile non vedere e non “toccare” l’emozione del bello”.
Barbara si è laureata a Firenze in Lettere moderne con indirizzo storico artistico incentrato sull’arte contemporanea. Ha frequentato poi numerosi corsi istituzionali presso il Mibac e altrove fino ad essere chiamata ad allestire in giro per l’Europa mostre ed eventi a Milano, a Bruxelles, a Parigi, ad Amsterdam… Ha collaborato a lungo con enti museali italiani e stranieri (Museo Piaggio di Pisa, Museo Giovanni Fattori di Livorno e molti altri).
Il curriculum sarebbe ancora lungo, lo spazio non ci aiuta. Torniamo in… galleria. Come è partita la “sfida”?
“Una sfida alla quale pensavo da tempo. Decisi che la mia esperienza, la mia passione, la mia voglia di scoprire e valorizzare lavori – e idee – potevano e dovevano concretizzarsi con uno spazio tutto mio. Mio ma non solo: mio ma aperto a chi, come me, voglia conoscere, sentire e “toccare” l’arte”.
Ha ancora senso, nel 2020, una galleria d’arte? Oggi siamo tutti in “rete”, quadri e sculture si recensiscono nei Social, si comprano e si vendono opere con un click o con un “touch” e ciascuno di noi, in una manciata di secondi, può conoscere vita morte e miracoli di un pittore milanese o di quello che lavora di pennello a Timbuctù…
“Quello del gallerista resta un lavoro fondamentale, una figura in grado di scavare molto più a fondo di quanto non possa fare la Rete. Il gallerista parla, racconta, incontra, si interfaccia con il territorio e ne diventa parte. Noi e solo noi possiamo instaurare un rapporto umano con l’artista, un dialogo che porterà lui – e noi – a crescere. La galleria d’arte resterà sempre l’unico luogo dove l’arte parla con il pubblico”.
Lavoro e passione, dunque. E il tempo libero?
“Poco, pochissimo. Il gallerista può lavorare ventiquattr’ore su ventiquattro, dico sul serio. Spesso e volentieri, poi, siamo al lavoro quando gli altri si divertono… Attenzione però, nessun vittimismo: faccio quel che mi piace, punto”.
Mai avuto un momento “no”? Uno di quelli che per un attimo l’ha portata a pensare: “Basta, mollo tutto e arrivederci”?
“Può darsi, succede a tutti ma ora, così su due piedi, non mi sovviene. Diciamo che vivere in un piccolo paese con il mare che ti carezza la pelle, la gente che ti riconosce, la spontaneità aiutano molto a lavorare – e a vivere – in una condizione ottimale, umana. Non è sempre così; non dappertutto”.
Lavorare nel bello; nella forma, nel colore, nell’emozione. L’abbiamo già scritto poco sopra, chiediamo venia. Ma nella Barbara Paci Art Gallery son passate le opere di Fernando Botero, Javier Marìn, Aron Demetz, Massimiliano Pelletti, Andrea Collesano, Sara Lovari… Nomi e cognomi ben noti agli “addetti ai lavori” e magari – per ora – non altrettanto conosciuti da tutti gli altri. Non tutto è perduto però: Pietrasanta non si muove, possiamo raggiungerla quando vogliamo.
Dunque buon viaggio. Ricordate però di accendere le luci in Galleria; con la G maiuscola.