Il (nostro) canto libero
Che c’entra Lucio Battisti? Probabilmente niente anche se – forse –in queste pagine c’è spazio anche per lui. Tornare a cantare; tornare ad ascoltare, ad applaudire, a piangere con piacere. Il piacere dei concerti. Il piacere di tornare a riempire i teatri, gli spalti. Dai balconi agli stadi: siamo pronti? Ne parliamo anche con Clemente Zard, uno che di concerti se ne intende.
Di Roberto Fantauzzi
“In un mondo che, prigioniero è, respiriamo liberi, io e te…”. In un’altra strofa si parla dei “fantasmi del passato”. Sì, è “Il mio canto libero” di Battisti; perché Lucio, in fin dei conti, ci può stare in questa storia. Storia, storie di emozioni, quelle forti, quelle che si vivono abbracciandosi cullati dalle note dei nostri artisti preferiti. Quelle dove non fa freddo nemmeno in pieno inverno, perché siamo tutti accalcati sul prato a danzare, a muoverci vorticosamente al ritmo della canzone che ci riempie gli occhi di lacrime, le orecchie di note e il cuore d’amore… “Di veeero amore… oh oh”.
Respirare liberi; dimenticare i “fantasmi” del passato e tornare a cantare o – meglio – ad ascoltare. Tornare, insomma, a riempire gli stadi, i teatri, i palazzetti dove la musica, la nostra musica, ci dava – ci dà – quella marcia in più, quell’energia, quel coraggio per dire a “lei” (o a lui, ovvio) quello che un’istante prima non osavamo dire. Oppure senza dire, senza parlare, avvicinare le nostre labbra alle sue senza preavviso; senza paura. La musica grida e noi, in silenzio, urliamo le nostre emozioni.
Al concerto, nei concerti, succede tutto e non succede niente. Succede di abbracciare qualcuno che non sai neanche come si chiama. Succede che anche se non fumi (non l’hai mai fatto e forse mai lo farai) decidi di chiedere una sigaretta a chi ti siede accanto. “La scusa più stronza…!” Si, la classica scusa vecchia come il mondo, proprio come raccontava Verdone/Enzo all’amico Sergio/Renato Scarpa nel film Un sacco bello: “… T’ho mai raccontato di quella vorta al concerto dei Genesis? Ce stava una davanti a me, avrà avuto 16 anni, 17. Se sarà vortata dieci volte a guardamme; A ‘n certo punto me fa: ‘Scusa, c’hai ‘na sigaretta?’. La scusa più str…, hai presente no?”.
Niente scuse però: forse Enzo inventò tutto, non andò mai a quel concerto dei Genesis e – se ci andò – nessuna “fata” diciassettenne gli chiese una sigaretta. Niente scuse, dicevo, perché quando si tornerà a cantare, quando torneremo ai concerti perché stanchi dei balconi di questi ultimi due anni, toccherà a noi, di nuovo a noi. Ci toccherà rivivere quegli sguardi, quegli abbracci, quelle parole non dette capaci di riempire un libro… Insomma avete capito: la musica è anche questo; è incontro, abbraccio, colore e – insisto fino alla noia – emozione. Quante “storie”, quanti grandi amori sono nati tra gli spalti o tra le poltrone di un teatro? Oppure amori “piccoli”, finiti assieme all’ultima strofa dell’ultima canzone, ma fa lo stesso: abbiamo bisogno (lo abbiamo sempre avuto) anche di quelli. Abbiamo bisogno soprattutto di quelle atmosfere, quel calore sprigionato da migliaia di braccia, di gambe, di occhi che si muovono al ritmo delle canzoni; le nostre canzoni. I nostri concerti.
Siamo tutti pronti, nessuno manca all’appello. Non manca la musica, non mancano gli autori, non mancano i cantanti; non manchiamo noi; noi che non aspettiamo altro.
Quando si comincia? Meglio: quando ricominciamo? Una data certa non ce l’ho, non ce l’ha nessuno ma di sicuro non manca molto. Sono stati due anni lunghissimi; due anni di canzoni incerte balbettate sui terrazzini o “consumate” grazie alle piattaforme web: ottima qualità del suono, possibilità di scegliere quale artista, quale brano, a che ora, quanti bis… Cosa manca? Cosa mancava? Mancava, manca, il calore, il colore, l’emozione. L’ho già detto? Già scritto? Va bene così.
“Nuove sensazioni, giovani emozioni…”. Apro e chiudo con Battisti e il suo “Canto libero”. Perché tra poco sarà il nostro turno. Il turno dei nostri canti, della nostra musica, dei nostri concerti “liberi”.
Cosa bolle in pentola? Cosa ci aspetta tra gli spalti? L’ho chiesto al gran capo (Managing Director) di Vivo Concerti, Clemente Zard.
Clemente, iniziamo dal tuo cognome; un cognome importante e forse anche un po’… pesante. Ti sei mai sentito schiacciato da questo peso? O vivi solo lo stimolo, l’entusiasmo di portare avanti un lavoro, una storia che vanta mille pagine di un passato incancellabile?
“Non è mai stato un peso anzi, lo considero una fortuna incredibile. Crescere con un padre che ha avuto determinate visioni e che ha sempre alzato l’asticella dei suoi traguardi non ha potuto che farmi bene. In qualche modo mi sono sentito sempre incoraggiato”.
Torneremo a cantare; torneremo nei teatri, negli stadi in giro per il Belpaese. Dopo due anni di arresto forzato cosa è cambiato, cosa cambierà nel “pianeta” concerti?
“Il pianeta concerti non cambierà, perché nasce per offrire un’esperienza unica come la musica dal vivo. Credo che questo distacco dagli eventi dal vivo porterà la gente ad avere molta più voglia di fruirne, la mancanza di live per due anni ha intensificato la passione”.
Dopo tutti questi mesi di “stop” molti artisti avranno avuto tanto tempo per preparare nuovi lavori, nuovi “pezzi”. Puoi farci qualche anticipazione su cosa… bolle in pentola?
“Credo che nei prossimi 5 anni ci sarà talmente tanta nuova musica e talmente tanti tour che ce ne sarà davvero per ogni gusto e ognuno potrà trovare quello che fa al caso suo”.