Luca Pavoni: “Per cavalcare l’onda bisogna prima toccare l’acqua”
di Maria Cristina Del Cuore
Il surfista cavalca l’onda ma, prima ancora di cavalcarla, deve imparare a “sentire” le vibrazioni dell’acqua. Queste le parole che in assoluto mi hanno colpito maggiormente durante la piacevolissima chiacchierata con Luca Pavoni. Luca ha fortemente voluto il nostro incontro in presenza, proprio perché è una persona che ha fatto della percezione uno stile di vita.
Studente appassionato di architettura, campione di nuoto stile libero, figlio di un marchese, anche se, ci tiene a precisare, non ama i titoli, muove i suoi primi passi professionali a metà degli anni ’70.
Oltre ad essere uno studente e uno sportivo dotato, è un grande appassionato di musica e così apre una discoteca a S. Severa insieme ad un caro amico. Da quel momento la sua vita ruota tutta intorno ai locali notturni, facendo da apripista, è proprio il caso di dirlo, a un mondo che inizia a muovere i primi passi. Nella seconda metà degli anni 60 con il Piper, il Number one e Studio 54 si avvia un concetto nuovo di locale notturno, che non ha nulla a che vedere con le balere e che vede come grandi protagonisti la musica, il ballo sfrenato da soli e l’introduzione del Disc Jokey. Parola d’ordine di questi locali: esclusività.
Partiamo proprio dall’esclusività.
“Sì, non erano importanti i soldi, ma l’educazione. Nei miei locali non ho mai realizzato un privée. Il privée era l’ingresso, passato quello facevi “parte”. La selezione veniva fatta lì.”
Facciamo un passo indietro: i tuoi genitori come hanno preso questa tua passione per “la dolce vita romana”? Eri molto giovane.
“I miei genitori non mi hanno affatto ostacolato. È vero ero molto giovane, era un mondo quasi inesplorato, ma io ho continuato a studiare e terminato architettura mentre contemporaneamente iniziavo a costruirmi la mia strada nei locali. Inizialmente mi occupavo di tutto, facevo il Dj, ero all’accoglienza. Solo successivamente ho iniziato ad avere un Dj professionista e così mi sono potuto far carico dell’organizzazione e di accogliere gli ospiti. In poco tempo sono diventato un riferimento nella città.
L’elenco delle esperienze vissute da Luca sono davvero tante e ad ognuna di queste è legato un numero consistente di aneddoti, persone e luoghi. Ma certamente ciò che lo contraddistingue è la capacità di cavalcare l’onda, anticipandola sempre di un attimo.
“Sì, i locali che ho avuto e gestito sono molti – mi conferma –: dal Number One all’Open Gate nei primi anni 80, passando per il Miraggio a Fregene, quando Fregene era ancora una località esclusiva, e ancora l’Oca Bianca a via dell’Anima, frequentato da Silvio Berlusconi. Oca Bianca aveva anche un bistrot collocato al piano terra e poi c’era il Piano Bar nel seminterrato. Poi, il Lido a Fregene, il Joy, dove faceva le sue prime serate un Umberto Smaila agli albori. Umberto Smaila ha esordito in Costa Smeralda, ma il suo lancio ufficiale è avvenuto al Joy. Quindi ho aperto in società con i proprietari del Tartarughino (noto locale a Roma e Porto Rotondo. NdR) il Bella blu, fino ad arrivare al Caffè Renault. Sono stato contattato da RDS per questo progetto che è partito con ritardo e nonostante il grande successo non è durato a lungo; e così, nel 1997, ho aperto il Nilbar, primo Total White italiano che trasferiva il concetto di casa in un luogo pubblico: si mangiava e poi dopo cena si ballava vicino ai tavoli, avevamo eliminato la pista da ballo!
Non ti è mai venuta voglia di prenderti una pausa?
“Ho cercato spesso di fuggire da questa vita, perché piano piano stava diventando una sorta di prigione dorata. La mia vita privata completamente annullata. A quel punto ho cercato di costruirmi una Way Out dalla vita notturna, verso i primi degli anni ’90 ho aperto un’industria di duplicazione video a Pomezia, ma poi tutto mi ha riportato lì in quel mondo dorato di sempre e ho fatto altre due esperienze: rHome, che ha vinto anche il premio “Miglior locale d’Italia” nel 2006, e ELLE a via Veneto. Nel 2016 ho terminato la mia esperienza con ELLE e mi sono preso due anni di pausa. Questa volta di vera pausa”.
Arriviamo a oggi. Io sono qui di fronte a te, nel tuo ristorante Luna-Osteria di Quartiere.
“Ho ricevuto molte offerte nella mia vita per spostarmi da Roma, ma ho sempre avuto un forte senso di appartenenza nei confronti della mia città: casa. Ho voluto trasferire proprio questo nel mio ristorante. Ora una domanda la faccio io a te: qual è il tuo concetto di casa?”.
Accoglienza.
“Spero che la mia Luna ti abbia fatto sentire accolta e che i profumi di ciò che prepara il mio cuoco ti riportino a casa”.