Il mare controcorrente
Il mare che c’è e quello che c’era. Il mare sincero e misterioso, “arrabbiato” e affettuoso, fragoroso e silente. Il mare e chi lo abita: dal più piccolo corallo alla balenottera azzurra; poi gli squali; che – come i lupi – sono cattivi nelle favole o al cinema e molto meno sott’acqua. Il mare si racconta: una storia infinita fatta di immagini, ricordi, colori, paure, sfide. Il narratore? Si chiama Alberto Luca.
Questa è una storia di mare. Ed è, anche, una storia controcorrente. In mare la corrente è di casa. E in mare, di casa, c’è anche Alberto Luca Recchi, classe 1955. Un uomo, un mammifero che sott’acqua – come noi – non potrebbe restarvi per sempre. Però lui, in mare, ci “vive” alla grande. Esploratore, fotografo subacqueo, giornalista, scrittore… Alberto Luca racconta gli oceani, i fondali (e il mare “nostrum”) come pochi altri. Lo fa anche per spiegare a noi bipedi impacciati, noi che tra le onde ci fermiamo dopo poche bracciate o ci limitiamo a fare lunghi bagni di sole, che il mare è il nostro più grande continente. Con il mare, volenti o nolenti, dobbiamo fare i conti.
Alberto Luca ha studiato da vicino squali e balene; li ha cercati e trovati anche dove tutti noi, bipedi timorosi, avremmo giurato che no, lì non ci sono mai stati… Invece anche nel nostro Mediterraneo i capodogli, le megattere e, naturalmente, i delfini; e gli squali.
Il mare e i pesci. Che, tra l’altro, non sono tutti pesci: la balena è un mammifero come noi; i delfini idem. Respirano, come noi, fuori dall’acqua. Lo sapevamo? Sì e no; di certo lo dimentichiamo spesso; lo dimenticano anche coloro che ogni anno solcano le onde a bordo del loro motoryacht da 60 piedi: il mare sul ponte non ci sale. E se noi non scendiamo…
È nato, Alberto Luca, in quel momento storico nel quale gli uomini e le donne, insomma tutti i miliardi di bipedi “sapiens” (sedicenti tali) erano convinti che la Terra – tutta, acque comprese – fosse una miniera inesauribile di nutrimento, di energia da sfruttare all’infinito; tutto nostro, tutto da raccogliere, da scavare, da spogliare, da prosciugare… L’uomo comanda, l’uomo dispone, l’uomo è troppo intelligente per farsi male con le sue stesse mani.
Cos’è successo poi? Lo sappiamo, inutile dilungarsi. Torniamo invece ad Alberto Luca che, in un’altra vita, è stato dirigente di banca e si occupava di finanza. Di nuovo: cos’è successo poi? Come è nata questa passione viscerale?
“Merito anche del momento storico nel quale sono venuto al mondo – mi dice –. Da un po’ esistevano le maschere, gli erogatori. Eh sì, con la vulcanizzazione della gomma abbiamo fatti passi da gigante anche… in acqua. Cosicché ho iniziato a guardarmi intorno ed a guardare… sotto”.
Va bene, d’accordo. Ma dalla finanza ai fondali, dai bilanci alle barriere coralline… Come ci sei arrivato?
“Come ho raccontato spesso, la scintilla è scoccata in Sardegna nel 1961. Osservavo un tizio che riaffiorava di continuo portando a riva delle enormi cernie. Pensavo: guarda un po’ quali grandi creature si nascondono pochi metri più giù dei nostri piedi. Il “tizio” in questione si chiamava Mike Bongiorno. Io lo osservavo o, meglio, ammiravo quei grandi pesci misteriosi che, fino a qualche minuto prima, scorrazzavano in acqua con tutta la loro imponenza senza far rumore, senza inutili esibizionismi. Un mondo intero; una popolazione dalle mille sfaccettature che volli, assolutamente, conoscere; dialogare con “lei””.
Avevo già sentito in qualche vecchia intervista televisiva questa storia di “Supermike” e delle sue cernie. Ma riascoltarla “in diretta” dalla voce di Recchi è un’altra cosa. Lavorando un po’ con l’immaginazione (ai giornalisti succede spesso, anche troppo) vedo Mike Bongiorno che grida: “f, quale busta? La Uno, la Due o la Tre? Che fai, lasci o raddoppi?”. Già, che busta? Lasciare o raddoppiare?
Assolutamente lasciare; smettere i vestiti e tuffarsi subito: il mare è vicino ma è ancora troppo lontano. Perché non lo conosciamo, perché lo vediamo con una lente distorta. Val la pena immergersi.
Detto fatto: Alberto Luca ha scelto la sua “busta” senza mai ripensarci. Ha vinto? Beh, la vita – a dispetto di Arbore – non è “tutto un quiz”, sebbene le domande e le risposte siano infinite. Non a caso Alberto Luca, in mare, fa domande e fornisce risposte. Lo fa con i suoi libri, le sue foto, le sue ricerche, i suoi reportage, il suo celebre calendario. Lo fa anche collaborando con la “ditta Angela” (Piero e Alberto): Quark, Superquark, Ulisse. Lo fa infine con il teatro: qui è riuscito a coinvolgere anche lo stesso Angela senior, 93 anni suonati.
Il mare e i suoi abitanti, squali compresi. La paura fa parte del “gioco”?
“assolutamente sì. Sarei un bugiardo se dicessi che non ho paura e che non ne abbia mai avuta. Tornando agli squali: ne esistono centinaia di specie di tutte le dimensioni con diverse abitudini e caratteristiche. Loro, come il lupo sulla Terra, sono stati descritti e raccontati da chi, forse, non è mai sceso da una barca. Certo, qualche brutta storia è avvenuta davvero. Ma le favole – e i film – le hanno un po’ troppo amplificate…”.
Vogliamo dare uno scappellotto anche a Spielberg?
Diamoglielo; con affetto, ma diamoglielo. Indubbiamente con il suo “Jaws” del 1975 (“Lo squalo”, in Italia) ha contribuito non poco a mistificare la figura di questi pesci che affollano i mari, Mediterraneo compreso. Ma il soggetto del film è tratto dall’omonimo romanzo di Peter Benchley, scrittore e giornalista newyorkese. Facciamo così: lo scappellotto diamolo anche a Peter; sempre con affetto e dolcezza, visto che questi è scomparso una quindicina d’anni fa, poco dopo aver cambiato idea sugli squali tanto da impegnarsi per proteggerli…”.
La pesca intensiva, la plastica, il mare maltrattato. Come se ne esce?
“Se ne esce con la responsabilità; se ne esce con gli di pesci erbivori (la salpa, per esempio); non piacciono ancora, ma domani… poi la clonazione delle cellule, poi tanto altro. Infine la plastica: non è il demonio, non è “lei” la strega cattiva. Grazie alla plastica abbiamo smesso di saccheggiare foreste per costruire mobili o cruscotti di auto; abbiamo finito di massacrare tartarughe per fare stanghette per occhiali. La plastica è stata una grande invenzione. Basta saperla usare, saperla riciclare e “compostare”. Troppo tardi l’abbiamo imparato; qualcuno, ancora, non ha nemmeno aperto il libro…”.
Eccolo Alberto Luca Recchi e il suo mare controcorrente. La plastica che diventa “buona” (in parte) se solo l’uomo volesse. Volere è potere, si sa.
“Le nuove generazioni – conclude – vogliono; e possono. Ho grande fiducia nei giovani, loro troveranno il modo di invertire la rotta”.
Sono d’accordo, condivido la fiducia; Ce ne metto un mare.