“Roberto & Riccardo: ambasciatori sì, diplomatici un po’ meno.”
Si può essere ambasciatori senza avere la macchina targata “CD”, senza usufruire dell’immunità diplomatica e senza godere di spazi “extraterritoriali”? Insomma, si può essere ambasciatori pur dicendo pane al pane, vino al vino senza eufemismi, con pochi peli sulla lingua?
Si può. Basta chiamarsi Roberto e Riccardo Poggi, padre e figlio, gli unici ambasciatori che non devono ricucire crisi internazionali. A loro spetta qualcosa di molto più difficile.
Siamo all’Ambasciata d’Abruzzo, ristorante di via Tacchini (Parioli) aperto giusto sessant’anni fa. Roberto e Riccardo, padre e figlio, sono al timone del ristorante e “apparecchiano” ogni giorno – a pranzo e a cena – sapori, storie, ricordi, emozioni. Insomma regalano agli ospiti (dire “clienti” non rende troppo l’idea) qualcosa in più di un pranzo o una cena.
Sessant’anni di buona tavola. Una tavola che, come è ovvio, nel tempo è cambiata, si è evoluta senza però mai abbandonare quella filosofia, quel tocco che rende l’Ambasciata d’Abruzzo riconoscibile e inconfondibile.
Fare il ristoratore oggi: quali soddisfazioni, quanti dolori e quante… gioie?
Chiediamolo a loro. Chiediamolo a Roberto e Riccardo. Il primo, classe 1956, è in prima linea in via Tacchini dal lontano 1978. Riccardo, che di anni ne ha 36, non è solo “il figlio di”: è ristoratore a tutto tondo, appassionato ed esperto come il padre.
“Ho cominciato a 16 anni – mi conferma il “Poggi junior” –. Nei primi Anni 90, alla “Tevere Expo” ci occupavamo della ristorazione; un’estate dietro l’altra, un piatto tira l’altro…”.
Domanda per Roberto: cosa è cambiato nella ristorazione dagli Anni 70 ad oggi?
“Son cambiate tante cose: si usciva forse meno spesso ma il “mangiare fuori” era qualcosa che aveva un significato. Ci si affidava allo chef, non si metteva bocca (la bocca serviva per assaggiare, per assaporare ciò che servivamo) sulle ricette, sugli ingredienti… Oggi tutti si sentono cuochi, tutti si arrogano il diritto di insegnare il mestiere. Ma è un malanno italico: ai mondiali di calcio ci sono sessanta milioni di commissari tecnici. Uno solo, però, è quello che siede sulla panchina azzurra”.
Anche Roberto è figlio d’arte: suo Padre Idolo gli ha insegnato il mestiere. Idolo Poggi, oggi ultranovantenne, possiamo ancora incontrarlo all’Ambasciata. Quando Roberto iniziò, il “capo” era ancora papà. Arriviamo così al 2000, anno nel quale sul ponte di comando c’è solo lui, solo Roberto.
“Non proprio solo, però – precisa –: avevo già con me i miei due figli Roberta e Riccardo”.
Roberta anni dopo si sposerà, diventerà mamma e a via Tacchini i pranzi e le cene resteranno tutti sulle spalle di Roberto e Riccardo.
Mettete sempre la stessa passione, lo stesso entusiasmo dei primi giorni nel vostro lavoro?
“Diciamo che ci sono alti e bassi (sta parlando Roberto, Ndr): ci sono stati momenti – e ci sono ancora – nei quali mi chiedo chi me l’ha fatto fare: l’economia, dicono, è in caduta libera; però quando arriva il nuovo smartphone da 1500 euro si formano file di mezzo chilometro dinanzi ai centri commerciali per accaparrarselo…”.
Roberto scherza ma non troppo. In fondo l’abbiamo detto nel titolo; un titolo apparentemente offensivo che offensivo non è: i Poggi non la mandano a dire; i Poggi la cantano chiara e questa, da che mondo è mondo, è un’ottima qualità.
Consigliereste a chi ha vent’anni oggi di intraprendere la vostra stessa strada?
“Oggi i ragazzi sognano troppo (è ancora Roberto a parlare, Ndr). Però bisogna anche essere capaci di aprire gli occhi. Sognano di diventare Chiara Ferragni, di mettersi in tasca miliardi di “like” (e altrettanti di euro) senza sfacchinare. Ma le “chiare ferragni” i Ronaldo, gli youtuber con milioni di followers sono pochi, non c’è spazio per tutti. Fare i ristoratori? Beh, se son disposti a lavorare davvero, perché no? Nonostante tutto lo ammetto: il mio mestiere non è malaccio”.
Riccardo, tocca a te
“Concordo con mio padre: questo è un lavoro che comporta molte rinunce; ma se ci credi, se lo fai con passione le soddisfazioni non tarderanno ad arrivare. Io, di sicuro, non mi sono mai pentito”.
Che vorreste fare “da grandi”?
“Da grande mi piacerebbe non fare niente – risponde pronto Roberto –: oggi meno si lavora e più si guadagna”.
Batte sempre su questo tasto, tra il serio e il faceto, ma sappiamo che non è così: non a caso da meno di un anno, con sua moglie Federica, ha inaugurato il Pescado Seafood Reataurant a viale Bruno Buozzi. Ottimo ristorante di pesce che ha già registrato il plauso degli intenditori. Siamo a due passi dall’Ambasciata e siamo – di nuovo – nel regno dei sapori, della cucina sincera, schietta. Altro che diplomazia…
“Io da grande – chiosa Riccardo – mi vedo sempre qui; sempre in sala, tra i tavoli, a fare quello che so fare bene”.
Già, fare bene. In casa Poggi è qualcosa che viene naturale da più di sessant’anni. Per dirla diplomaticamente, Roberto e Riccardo resteranno sempre due ottimi ambasciatori del gusto.