La danza e la moda hanno curato le sue insicurezze, rendendola oggi una ragazza piena di fascino, delicata, ma che difende gelosamente quella vena da “maschiaccio” che l’ha sempre contraddistinta e che, negli anni, l’ha esposta a tante critiche. Lontano dalla passerella, Silvia brilla anche senza flash grazie alla sua determinazione. Parla fluentemente quattro lingue e studia per diventare avvocato civilista.
Di Beatrice Gentili
Ex ballerina, modella, studentessa e non solo: una ragazza dalle mille identità…
Qualcuno preferisce scegliere la strada più facile, io invece ho sempre dato la priorità alle mie passioni, anche se questo può voler dire dire dover affrontare una lunga salita. Mi divido tra lo studio presso la facoltà di Giurisprudenza e il lavoro da modella, iniziato già nel 2014, per superare tante insicurezze che avevo.
A cosa ti riferisci?
In tutti questi anni ho cercato di essere più a mio agio con il mio corpo, di trovare le mie sicurezze e di sentirmi più femminile, qualcosa che mi è mancato sin da piccola. Ho iniziato a danzare per questo, per curare le mie fragilità, fino a quando non ho dovuto smettere per un infortunio. Poi la prima volta che mi sono lasciata fotografare ho scoperto di avere una forza che non credevo di avere.
Perché hai iniziato proprio dal ballo?
È stata un’idea di mia zia quella di portarmi in una scuola di danza, perché a scuola venivo giudicata per i miei modi di fare non propriamente etichettabili come leggiadri. Non era facile per me convivere con i commenti dei compagni di classe, ero piccola e mi lasciavo demoralizzare. Così, per farmi sentire più a mio agio, questa zia ha pensato di aiutarmi con una disciplina che mi permettesse di essere più aggraziata. Sono entrata nel Balletto di Roma e danzare mi faceva sentire viva. Quando mi sono rotta tre ossa e un legamento sulle punte, quasi tre anni fa, ho avuto un crollo morale, perché avevo vissuto la mia vita per fare quello. Ho subito un’operazione in cui mi è stata inserita una placca di metallo nella caviglia e mi è stato detto che per molti anni dall’incidente non avrei più potuto indossare le punte. In quel momento mi sono fermata anche con la moda, un percorso che avevo iniziato per caso grazie ad un fotografo noto conosciuto il giorno della mia Comunione, e che mi ha regalato una stagione professionale con Fendi.
Una grande esperienza…
Si può dire che loro mi abbiano cresciuta. Mi hanno dato una formazione unica: per sei mesi mi hanno fatto fare per quattro ore a settimana corsi di portamento, espressione, dialettica e presentazione al pubblico. Quello che mi hanno insegnato mi ha aiutata in tanti campi della vita, compreso il percorso di studi in Giurisprudenza.
Con una vita così piena, com’è arrivata la decisione di portare avanti anche l’università?
Avendo già dato una piccola delusione alla mia famiglia, percorrendo la strada della moda – che loro non hanno mai apprezzato – volevo seguire un percorso più tradizionale che mi desse una stabilità. I miei genitori hanno uno studio legale e ho pensato che sarebbe stato sciocco non crearmi una strada alternativa. Mi piace molto ciò che studio, perché viviamo in un paese in cui non sempre le cose funzionano. Capire cosa gli altri possono o non possono fare, mi ha aiutato anche con il lavoro, soprattutto perché ho scelto di curare la mia attività professionale in autonomia. Sono convinta che nella vita si possa fare tutto, purché uno sia pronto a rimboccarsi le maniche. Non bisogna necessariamente scegliere una sola strada, ma ciò che è più gratificante.
Dopo aver detto addio alle punte e alla moda, cosa ti ha aiutato a voltare pagina e tornare a posare?
Le richieste di collaborazioni da brand e fotografi continuavano ad arrivare e in modo molto naturale, quando mi sono sentita pronta, ho ripreso da dove avevo lasciato. La moda in quel momento mi ha salvata per la seconda volta dalle mie insicurezze.
Oggi Silvia è una ragazza che si piace?
Sì, ci è voluto del tempo ma ho capito che non bisogna lasciarsi ferire da chi cerca di abbatterti. Sono riuscita a guardarmi allo specchio in modo diverso e a dare credito a chi vede qualcosa in me.