SESSUOLOGO:”L’Immagine del pene tra antiche credenze e moderni tabù”

Dalle culture primitive all’età classica l’organo sessuale maschile è stato simbolo di fertilità e di vita. In una grotta nel sud della Germania è stata rinvenuta la più antica rappresentazione fallica a noi nota risalente a 28.000 anni fa.

A cura del Dott. Daniele Bonanno 

Le prime forme di scrittura testimoniano la valenza sacra attribuita al sesso agli albori della civiltà. Iscrizioni sumere di oltre cinquemila anni raccontano come attraverso un’eiaculazione il dio Enki avesse creato il Tigri e l’Eufrate, i fiumi che delimitavano la Mesopotamia. Generato il primo essere umano il dio avrebbe esclamato: “Sia lodato il mio pene”.

A loro volta gli Assiri e i Fenici adoravano il dio Kmul, divinità dall’enorme membro, potente generatore della vita.

La sacralità del pene ricorre nelle credenze dell’Antico Egitto. Geroglifici di quattromila anni fa, trovati nelle piramidi, associano l’origine del mondo a un atto masturbatorio del dio Atum: “creai da solo ogni essere vivente. Il mio pugno divenne la mia sposa. Ho copulato con la mia mano”.

Nel mito di Osiride e Iside il pene della divinità assume un ruolo determinante. Dopo l’uccisione di Osiride il suo organo viene magicamente rigenerato da Iside, producendo il seme da cui sarebbe derivata l’intera discendenza dei faraoni.

Anche nell’Età Classica il membro virile era simbolo dei poteri generativi della natura.

In Grecia si celebravano riti solenni propiziatori del raccolto detti Falloforie. Un enorme fallo di legno veniva portato in processione e utilizzato per irrigare i campi con acqua, miele e succo d’uva.

Nell’antica Roma cippi fallici e rappresentazioni del dio Priapo col pene eretto venivano collocate in prossimità dei campi coltivati come buon auspicio per il raccolto. Il “fascinus” era un amuleto o monile di forma fallica utilizzato contro il malocchio. Quando un generale festeggiava un trionfo veniva appeso un fascinus sotto il suo carro per proteggerlo dall’invidia. A febbraio venivano celebrati i Lupercalia in onore del Fauno, divinità dalla vistosa virilità, protettore delle greggi e della fertilità. I lupercalia furono in seguito sostituiti dalla ricorrenza di San Valentino, oggi festa degli innamorati.

Le divinità dei greci e dei romani erano soggette a piaceri e istinti sessuali essendo più vicine a un’essenza naturale e selvaggia che a una dimensione spirituale ed ascetica.

Con l’affermarsi del cristianesimo in contrapposizione ai culti pagani e dionisiaci figure falliche/maschili come quella di Priapo, del Fauno e del Satiro hanno assunto la valenza di entità demoniache, associate al peccato e alla corruzione morale. Non a caso l’iconografia popolare del diavolo è caratterizzata da coda, zampe e zoccoli di capra, la virilità enfatizzata, orecchie appuntite, corna e forcone. Una rappresentazione del tutto sovrapponibile a quella del satiro e del fauno. Da simbolo positivo l’organo maschile inizia così ad essere associato a un istinto distruttivo e peccaminoso.

Nell’atto sessuale e generativo viene ora trasmessa la colpa e il peccato originale, soprattutto se l’amplesso è accompagnato da passione. Il pene diviene organo corrotto e diabolico per via della sua stessa fisiologia, non rispondendo a comandi volontari ma a pulsioni istintive e incontrollabili.

Una concezione dei genitali maschili come sgraziati e volgari arriva fino ai nostri giorni. L’idea che il pene abbia una sorta di volontà autonoma o che l’uomo “pensi con il pene” resta diffusa nell’immaginario comune.

Se la sessualità è sempre più libera da tabù religiosi e colpevolizzazioni intervengono nuovi pregiudizi riguardo all’organo maschile. La politicizzazione dei corpi e delle tematiche di genere vede infatti la passata celebrazione del pene come emblematica espressione del patriarcato e di una cultura “fallocentrica” che impone la predominanza maschile e la subalternità della donna.

È una grande conquista il fatto che la rappresentazione iconografica e artistica della vulva si stia liberando dai precedenti tabù, divenendo simbolo di emancipazione e progresso. La raffigurazione del pene resta invece impopolare, giudicata oscena ed esibizionistica, vessillo dell’ego maschile.

Sarebbe auspicabile sgravare la nostra anatomia dal peso di significati morali, politici e religiosi. Un concetto positivo del corpo e della sessualità non può prescindere dal riconciliarci con il pene e con la natura sessuata dei corpi. Senza dubbio il pene e non il fallo; una meraviglia della nostra fisiologia al pari certamente della vulva, della vagina e di tutto il resto. Nessun simbolo di potere, valenza magica o origine del mondo.

Non vergogniamoci poi nell’affermare che l’essere attratte o attratti dal corpo maschile implica un certo occhio di riguardo per il pene, l’organo che più lo caratterizza.

Rasserenare la rappresentazione culturale dei genitali è tra i tasselli mancanti per una sessualità libera da censure, pregiudizi e condizionamenti.

 

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