“Duemila(e)venti, cosa abbiamo perso e come ci rifaremo.”
31 dicembre 2019 – 1 gennaio 2020: abbiamo festeggiato l’ultimo Capodanno con il bicchiere tra le mani, gli abbracci stretti (a saperlo che quei corpi così vicini e caldi non li avremmo potuti più sentire per mesi…), la musica assordante nel solito locale con i soliti amici o – perché no – con una “lei” appena conosciuta che ti guarda come una donna guarda un uomo in quei momenti lì. Gli abbracci, i balli, la folla che si muove e fa la “ola”. Tutti vicini, “assembrati”. Ora il Capodanno è lontano e noi non abbiamo voglia (oltre al fatto che non possiamo) di festeggiare alcunché. In questo 2020 abbiamo perso tutti qualcosa. C’è chi ha perso la vita, chi ha perso l’orientamento e chi ha perso il futuro. Tanta gente poi, ha perso il lavoro e purtroppo, a volte, la voglia di combattere. Tantissimi lavori sono stati penalizzati e altri rischiano di non ricominciare mai. Per esempio gli eventi: per me sono vita, lavoro, passione.
Curare la buona riuscita di un’inaugurazione, scegliere le luci, l’atmosfera, la location, la scaletta… È il mio lavoro da anni. E da anni, come me, migliaia di persone di questa virtuosa filiera fanno lo stesso. Quanti professionisti, quanti tecnici, quanti planner, dj, allestitori, artisti, quanti uomini e quante donne lavorano attorno ad un evento? Ci mettono passione, creatività; ci mettono il cuore, perché nel nostro lavoro il cuore scende sempre in campo. Quest’anno milioni di persone per metterci una pezza (come si suol dire) si sono gettate anima e corpo nella “second life” dei social. Poi la didattica a distanza, le chiacchierate su Skype, i convegni su Zoom, i compleanni da remoto con le candeline che soffiando sul monitor non si spengono… Facebook, Instagram e le altre piattaforme sono diventati i contenitori della nostra vita vera, non più solo della finzione. Abbiamo così imparato a decodificare il linguaggio dei social: per chi lo sa leggere, il profilo web di una persona ne disegna la struttura (fisica e mentale) meglio di come farebbe un test del DNA. Sta a noi discernere tra il vero è il falso, ma se ci pensi anche mamma doveva farlo a ricreazione e nonna sulle scale della chiesa del Santo Patrono. Il vero e il falso oggi si sono avvicinati, a volte quasi sovrapposti, come la vita reale e quella social, come gli eventi analogici e quelli digitali. Sì anche per noi (ma forse più per i nostri clienti) esiste un palliativo: il remoto, con le piattaforme ad hoc. Dal convegno alla presentazione del libro o del film, dalla festa di laurea al compleanno, tutto a distanza, anche se noi ci crediamo lì, tutti abbracciati, vicini. Invece siamo a letto o in bagno con il cellulare in mano. Fa arricciare il naso, è vero, ma necessità fa virtù. Le piattaforme per gli eventi online sono il nostro Caronte, ve lo prometto: presto si “accenderanno” solo se saremo divisi da un oceano. Lemmon, è la prima nata e una tra le migliori del firmamento “remote”. A muovere i fili di Lemmon c’è Simone Mazzarelli, 44 anni, Ceo e fondatore di Ninetynine, agenzia specializzata in comunicazione e consulenze marketing, un altro di quelli che scalpita aspettando gli abbracci vecchia maniera.
Ma nel frattempo… Simone, spiegaci l’idea Lemonn.
“È una piattaforma per eventi online con un forte focus sulle caratteristiche che distinguono un evento da ogni altro media: spettacolarità dei contenuti, interattività, networking. Una soluzione per garantire agli ospiti da remoto l’esperienza quanto più simile alla “presenza”: mandare il solo palco in streaming non basta per rendere “vero” un evento. Lemonn fa esattamente questo: animazione 3D real time per la massima spettacolarità dei contenuti, affiancata da numerose soluzioni di RTC dove le persone si vedono e parlano in diretta, organizzano meeting ed incontri, possono muoversi fra numerose sale e contenuti interattivi sviluppando business simulando un evento reale”.
Perché questo nome?
“Inizialmente il nome doveva essere più “standard”; poi a fine febbraio il mondo è cambiato e nel riconvertire la piattaforma da “ibrida” a “full digital” abbiamo sposato il detto di un personaggio di Stefen King: “se la vita ti da limoni, tu fai limonate”. Quindi Lemonn (la doppia N strizza l’occhio alla nostra società Ninetynine).”
Quali aziende si sono rifugiate nel full digital?
“Moltissime, grandi e piccole; in questi mesi abbiamo collegato oltre 13mila persone da 11 diversi Paesi, 113 relatori per quasi 250 ore di streaming. Fra i tanti cito la Walt Disney Company e la Fiera di Roma. Ma la lista è lunga”.
Come lo vedi il futuro in questo settore?
“Gli eventi digitali in questo periodo apocalittico, nel loro piccolo, stanno coinvolgendo tante maestranze. A mio avviso anche dopo la pandemia si ricaveranno un ruolo specifico a fianco di quelli “fisici” che, questo è chiaro, non potranno mai sostituire.”
Complimenti sinceri a Simone. Però – e so che lui è d’accordo – la vita, i concerti, le cene e i cenoni devono (dovranno) necessariamente tornare presto in “carne e ossa”. Lo vogliamo noi addetti ai lavori ma lo vogliono anche e soprattutto tutti gli altri. Cominciamo dagli addetti ai lavori, snocciolando un po’ di numeri che fanno accapponare la pelle: la filiera degli eventi vale il 2,5% del Pil nazionale. Sapete quanti sono (in quanti siamo) gli addetti ai lavori? 560mila. Mezzo milione di persone che stanno rischiando di perdere lavoro, reddito, futuro. Persone che creano un indotto di 65 miliardi di euro per il Belpaese; no, non sono bruscolini. Questi numeri –e molti altri – me li fornisce Adriano Ceccotti, presidente di FEU (Filiera Eventi Unita), comitato spontaneo no-profit a tutela di tutte le aziende private e partite iva specializzate in questo settore. Un movimento “di pancia” nato dalle urla disperate diffuse inizialmente su Whatsapp e che oggi conta 3400 iscritti a un gruppo Facebook, 1800 aziende ed un manifesto di tutte le richieste – e le proposte – per una ripartenza. Perché ripartire si può, si deve. “Non vogliamo dare risposte – dice Ceccotti – ma vogliamo essere riconosciuti, rispettati, perché portiamo quasi 70 miliardi all’economia del nostro beneamato Paese”.
Veniamo al “manifesto”…
“Eccomi. Intanto lo scenario: 560mila posti di lavoro a rischio, fatturato calato, rispetto al 2019, del 70% (tradotto in moneta: 45,5 miliardi di euro). Il 2,5% del Pil non è un’inezia. Con FEU ci rivolgiamo alle istituzioni, alla stampa e “gridiamo” in tutti i canali (social compresi) il nostro disappunto (e scusate l’eufemismo). Gridiamo e chiediamo supporto anche se il Governo, finora, non ci ha molto ascoltato”.
Cosa chiedete al “Palazzo”?
“Aiuti per tutta la filiera a fondo perduto, detassazione dei contributi fino ai sei mesi successivi alla fine dell’emergenza, rateizzazione dei debiti con il Fisco, sospensione dei mutui, proroga della Cassa Integrazione, reddito di emergenza alle partite Iva, credito d’imposta sugli affitti, sospensione delle tasse locali…”.
Adriano è un fiume in piena; e non è di buon umore, perché ritiene che il “Palazzo” si è dimostrato poco incline a rendersi conto che qui non si parla di festicciole, di birra e popcorn con gli amichetti sotto casa. Si parla di 500mila tra imprenditori e lavoratori; si parla di decine di miliardi. Si parla di un’industria che se si ammala, se muore, il Paese potrebbe non rialzarsi più. Ed ecco le altre proposte di FEU: apertura di corridoi turistici, aliquota Iva ridotta al 2% per i privati che allestiscono eventi, bonus matrimoni e party (detrazioni fiscali fino al 50% per le cerimonie 2021/22), bonus eventi aziendali (detrazioni fino al 150% sui costi sostenuti). Ascoltato Adriano, mi fermo, ci penso, mi chiedo: Troppo poco? Troppo “tanto”? Non rispondo qui, anche perché sono parte in causa. Dico solo che l’emergenza c’è e che è arrivato il momento di mettersi tutti (operatori, istituzioni, associazioni) al tavolo per pervenire ad un a celere soluzione. Al mondo degli eventi serve il sostegno e il grido della gente, del nostro pubblico che ci ha sempre seguito e sostenuto, quello che vuole, ancor più di noi, tornare a divesrtirsi. Abbracciarsi? Assembrarsi? Si farà quando si potrà fare, seguendo le regole, i protocolli, il buon senso che – Dpcm a parte – a noi non è mai mancato. Tornare a farvi festeggiare, a frequentare i nostri eventi non è la nostra richiesta di adesso. Siamo coscienti del fatto che nessuno ci sta mettendo ad un angolo perchè siamo brutti e cattivi, c’è bisogno di uno sforzo e noi lo faremo. Ma oggi più che mai non dobbiamo, non possiamo e non vogliamo essere dimenticati. Ce la faremo, basta crederci. Io ci credo; e non ho mai smesso.