Di Armando de Angelis
Da ormai un anno collaboriamo con “Bulli Stop” centro nazionale fondato dalla professoressa Giovanna Pini che si occupa di bullismo. Una collaborazione proficua che ha aperto gli occhi ai lettori e anche a noi “operatori della comunicazione”, forse più smaliziati e preparati, ma nemmeno troppo.
Il bullismo è una piaga che molti credono attecchisca fino all’adolescenza. Invece i bulli e le loro vittime possono avere anche trenta o quarant’anni. La differenza? Una volta cresciuti, nei limiti del possibile possiamo allontanare coloro che ci denigrano o che ci trattano con prepotenza. Almeno non siamo costretti a incontrarli ogni mattina in classe.
La legge punisce abusi, violenze o maltrattamenti ai minori. Come mai, allora, il bullismo non è “penalmente rilevante”?
Allo spettacolo presso il Teatro Olimpico allestito, come ogni anno, per la Giornata Nazionale Giovani Contro il Bullismo dalla professoressa Pini, è salita sul palco in lacrime la mamma di un diciassettenne che si è suicidato a causa del bullismo. Non si perdonava di non essersi accorta di nulla. Già: il bullismo si nutre di omertà, talvolta anche da parte di insegnanti e presidi.
Avevo una sorella stupenda, Edvige de Angelis, che nel 2015 si è suicidata; il bullismo non c’entra: soffriva di depressione bipolare. L’ho stimata, l’ho ammirata infinitamente per aver superato il quarantaduesimo compleanno prima di compiere quell’ultimo folle gesto. Prima di arrivarci, credetemi, ha combattuto con una tenacia, una caparbietà che noi “normali” non sempre sapremmo tirar fuori. Il suicidio è un gesto estremo, un atto che presuppone un coraggio inimmaginabile anche per gli eroi schiacciati tra le pagine dei libri di storia. Quando Edvige ha eseguito su di sé l’amara sentenza, ho maturato questa riflessione a proposito del bullismo. Premessa: Edvige non è stata preda di un raptus e amava la vita. Il problema è la sensibilità: quando si è tanto sensibili non si scende mai a compromessi e si combatte ogni giorno, si soffre per non diventare carnefici. Il bullo, al contrario, in molti casi è un prepotente “senza palle”. Non ha capacità per emergere e opta per una strada apparentemente più facile: schiacciare gli altri per convincersi di essere il più forte. Ma a far del male siam capaci tutti; molto più difficile trattenersi. Essere altruisti, generosi, comprensivi impone sacrificio, e il sacrificio è un pianeta sconosciuto ai bulli. Porgere l’altra guancia, come diceva qualcuno un paio di millenni fa, è – quella sì – un’impresa da vero “duro”.
Chi è dunque il duro tra il bullo il bullizzato? È il secondo, senza dubbio; è lui che si sforza di non cadere nel meccanismo dell’occhio per occhio dente per dente. Non si abbassa, mai, al livello dell’avversario.
È stato così anche per quel meraviglioso diciassettenne. Aveva paura? No, aveva un coraggio da leoni; un coraggio che l’ha portato a togliersi la vita piuttosto che rispondere alla violenza diventando lui stesso un violento. Se hai la forza di procurarti la morte, ne hai anche per prendere a calci il tuo aguzzino: cos’hai da perdere? Ma lui no; lui è, era più in alto, aveva scelto il bene ed era per questo immensamente superiore.
Non rispondere, non replicare ad uno schiaffo con uno schiaffo è difficilissimo. Ci vogliono autodisciplina, senso civico e tanto coraggio.
Mi rammarico di non aver conosciuto quel ragazzo; un eroe giovane, fin troppo giovane. È meglio vivere diciassette anni da leoni che cento in solitudine… In fin dei conti anche il tempo è relativo e, per questo, dico ai bulli: i nodi prima o poi arrivano al pettine; anche quando sarete “over 30” o “over 50”, le vostre prepotenze non verranno dimenticate. Vi renderete così conto di aver lavorato per farvi terra bruciata attorno; resterete soli. Non date retta alla pigrizia, all’egoismo, al “branco”: le strade troppo facili, alla lunga, diventano senza uscita.
Anche voi avete a disposizione una sola volta questa straordinaria vita; non sprecatela, siate coraggiosi, non abbiate paura di cambiare idea.
Pensiamoci, pensateci: chi subisce un sopruso, una violenza, se non vuole cedere non è il più debole; è il più forte. Il più coraggioso.
Dedicato a Michele Ruffino