“La mia storia è nel programma”
Bonifazio Mattei, 47 anni, insegna italiano e latino al liceo Giulio Cesare. Lui ci racconta come si fa– oggi – ad appassionare gli studenti a quel mondo sepolto da montagne di calendari che noi chiamiamo semplicemente “classico”. Un mondo che, volendo, ci apre gli occhi al futuro.
La storia e il futuro. Poi la letteratura che, oggi come ieri, non è solo immagazzinare date e nomi o scervellarsi con la famigerata analisi del testo. È anche e soprattutto la storia intima di chi scrive, di chi ama, di chi vuol condividere dolore, passione, paura, amore. Storie in “volgare” o in latino che aprono una finestra su un mondo che talvolta non c’è più e altre volte, invece, è dietro i vetri e lo possiamo guardare, toccare, vivere.
Professor Mattei, come l’hanno eletta “Capitano” i suoi studenti?
“La domanda dovrebbe farla a loro. Dal canto mio posso dire solo che nell’insegnamento mi metto in gioco ogni giorno con il mio vissuto, il mio essere stato non troppo tempo fa studente, adolescente, ragazzo curioso e spaventato. Anch’io, come ogni insegnante, indosso una maschera. Ma credo che a volte proprio quella maschera è la parte più autentica di me. Per questo credo che insegnare serva forse molto più a me stesso che ai miei studenti, perché mi impone di essere migliore. Tra me e quella maschera, allora, non nego che esiste uno spazio di riflessione, di piccole verità e di punti di domanda che costellano la mia vita. E’ in questo senso, ritengo, che insegnare è per me abitare la mia vita”.
Italiano e latino: il dolce stil nuovo e la consecutio temporum, le commedie di Plauto e la Commedia di Dante… Può uno studente nel 2018 provare emozioni, ridere e piangere alle prese con storie e idee del tempo che fu?
“Per la verità è raro che si appassionino a tutto questo. C’è una sorta di diffidenza su quello che sa di “antico”; antico e apparentemente polveroso, irripetibile, imparagonabile con l’oggi. Ma ogni tanto la “scintilla” si accende; quando succede i ragazzi scoprono che le emozioni di un uomo del Trecento possono essere le stesse di quelle vissute nel XXI secolo. Stessi sogni, stesse paure, stessa frenesia di comunicare. Siamo uomini e donne ed eravamo tali nel Medioevo o durante le campagne di Cesare…”.
Nel 2017 si studia volentieri sui libri? E c’è ancora posto per lavagna, gesso e cancellino?
“Passare ore chinati sui libri come facevo io, come si faceva fino a qualche lustro fa, oggi non è più “automatico”. Ma non si tratta necessariamente di una cattiva notizia: godiamo di nuovi strumenti, nuovi “libri” con milioni di pagine; perché non sfogliarli? Il futuro e il passato, anche così, si possono incontrare…”.
Leggere un saggio, un romanzo. Succede ai liceali di oggi?
“Leggono ma non troppo. Il libro, l’inchiostro sul foglio bianco viene percepito come un metodo troppo lento per acquisire informazioni o per “ascoltare” una storia. Storie e informazioni oggi devono viaggiare veloci, si devono “consumare” in pochi istanti. Ovviamente le eccezioni ci sono. Ripeto: quando scocca la scintilla…”.
Il professor Mattei ci dice anche che i ragazzi “2018 Edition” si occupano poco di attualità preferendo restare chiusi nel loro microcosmo quotidiano. Poca politica e anche, talvolta, poca voglia di sognare e di pensare al futuro.
“Ma in fondo – aggiunge – guardandoli dalla cattedra si vede che il sogno li avvolge, ne anima il senso di realtà. Ricordo dei versi di un poeta austriaco, Hugo Von Hoffmansthal, non partcolarmente belli ma veri: ‘Per troppo tempo non seppi le conchiglie esser belle. Il mio mondo era troppo tutt’uno con il loro…’. Insegnare letteratura mi convince che il modo migliore di sognare è essere integralmente nel sogno, fondarvi la realtà. L’errore e la svista aspettano aldilà di quel confine”.
Ultima domanda: il prof deve anche essere confidente, amico o almeno “fratello maggiore”?
“Il distacco ci deve stare, è fondamentale; annullare del tutto la distanza tra docente e discente può risultare deleterio. Ma ogni tanto dalla cattedra si deve scendere: gli insegnanti che guardo con simpatia, in fondo, sono un po’ studenti.”
Un giorno su quella cattedra prenderanno posto quelli che oggi hanno quindici, diciassette o diciotto anni. Non conosciamo ancora i nomi di chi lo farà ma una cosa la sappiamo: le lingue “morte”, nel futuro, seguiteranno ad essere più vive che mai.