“mpara l’arte…”
Cristian Contini l’arte l’ha imparata bene. Perché l’ha “respirata” fin da piccolo grazie al padre Stefano, tra i più celebri galleristi d’Italia. Ma i figli, si sa, quando crescono ci fanno crescere: per esempio con la Contini Art UK inaugurata nel 2014 a Londra. Tutta farina del sacco di Cristian che qui ci parla un po’ di sé, del suo lavoro e delle sue passioni. Accendete le luci: si entra in… galleria.
Di Riccardo Zona – scritto da Baronerozzo
Impara l’arte e mettila da parte, dice un vecchio proverbio. Ma qui si parla dell’arte che va oltre il “mestiere”: quella che ha indotto l’uomo a confrontarsi con le proprie sensazioni più profonde. È vero, l’arte si vende e si compra; e grazie al mercato – quello di ieri e quello contemporaneo –oggi possiamo ammirare i lavori più belli che la storia ci ha tramandato.
La storia continua e l’arte pure; c’è chi la sceglie, la “raccoglie” e la valorizza. Lo fanno in “casa” Contini; e lo fa Cristian Contini, 42 anni, figlio di Stefano. Abbiamo commesso un errore: non si può presentare Cristian come “figlio di”; perché lui, da tempo, non ne ha assolutamente bisogno. L’arte è una malattia di famiglia, d’accordo. Ma il “ragazzo” ha voluto esportarne i germi anche oltre i confini del Belpaese, inaugurando tre anni fa a New Bond Street, in quel di Londra, la Contini Art UK. Fermiamoci qui: domandiamo a lui come ha fatto e, soprattutto, perché.
Sei nato e cresciuto con l’arte, che oggi è anche il tuo lavoro, la tua passione. È sempre stato così?
“Il mio è un mestiere e una passione, certo. Le emozioni che vivo giorno per giorno sono intimamente mie, ho iniziato a metterle a fuoco un po’ dopo l’infanzia. Mi sento innanzi tutto un collezionista e solo in seconda battuta un “dealer”. L’arte si compra e si vende, ovvio, ma non c’è artista con cui lavoro (o con cui ho lavorato) che prima io non abbia acquistato per me”.
Creare qualcosa che poi diventa grande e si trasforma in un nome, un “marchio”, è difficile. Poi – quando serve – bisogna avere il coraggio anche di cambiare rotta. Come hai affrontato queste sfide?
“Le ho affrontate, in parte, grazie al bagaglio familiare: tutto quello che mio padre ha “costruito” mi ha aiutato a capire, a interpretare un mondo complesso. Quando ho iniziato a camminare da solo, con le mie idee e la mia esperienza, ho pensato che fosse giunto il momento di guardare fuori dai confini italiani. Mettersi alla prova in un mercato difficile come quello inglese che è, oggi, il vero trampolino delle nuove tendenze artistiche. I grandi nomi che risuonano sulle pareti di tutte le gallerie del mondo sono inglesi più che americani. Restare in Italia sarebbe stato più comodo; ma concentrarsi in un solo luogo non si può: il mondo va veloce, con la Rete comunica in tempo reale. Bisogna muoversi, e muoversi velocemente”.
Un po’ di paura, un po’ di incertezza l’hai avuta dovendo entrare in partita… fuori casa?
“Come in tutte le scommesse ambiziose si ha paura di sbagliare, del passo falso. Ma la paura è necessaria, perché ci mette in guardia facendoci camminare guardandosi bene intorno. Per me significa, per esempio, selezionare i giusti collaboratori e – naturalmente – le opere e l’artista su cui puntare”.
Possiamo dire che finora non hai sbagliato un “colpo”. Come si acquisisce una così perfetta sintonia tra il gusto del gallerista e quello degli appassionati e degli altri “addetti ai lavori”? Si può dire che qualche volta hai semplicemente voluto rischiare?
“Senza rischio non ci può essere innovazione, fa parte del gioco. Però, bisogna mettere in campo anche l’esperienza e il gusto, compreso quello personale. Come collezionista quando scelgo non penso solo a quanto sia “vendibile” quel lavoro. Scelgo innanzi tutto la bellezza, le idee, la “storia” dell’autore. È andata così per Omar Hassan con le mostre organizzate a Venezia e New York oltre alle importanti collaborazioni per le esposizioni di Helidon Xhixha”.
L’arte comunica, educa, sposta opinioni. È così da sempre. Può essere che sia il gallerista stesso a “creare” un nome ed a decretarne il futuro?
“Pensiamo alla cucina: non verrà mai un buon piatto senza i giusti ingredienti; molti artisti, seppure bravi, non sanno sempre “gestirsi” non sanno cioè comunicare oltre le loro opere. Questo, in fondo, è il mio mestiere: non solo porgitore, venditore, ma creatore del valore aggiunto, colui che sa come “raccontare” l’artista stesso”.
L’aspetto del tuo carattere che più ti ha aiutato ad arrivare fin dove sei arrivato?
“Un insieme di aspetti: la lungimiranza, la voglia di pensare in grande e soprattutto la fiducia. Senza la fiducia non nasce l’empatia con l’artista; e senza empatia il futuro si chiude”.