“C’ERA UNA VOLTA IL MARE”
Entrare in acqua e calarsi nel blu è un’esperienza sempre nuova:cercare nello stesso posto qualcosa che avevi già visto è quasi impossibile. Il mare è movimento; vive il movimento.
Poche specie marine sono stanziali. Fotografare il mondo marino e chi lo popola significa incontrare ogni giorno, intorno a quello stesso scoglio o vagando sempre per la stessa “pianura”, altri abitanti. I pesci di barriera vivono intorno ai pochi coralli rimasti, alcuni in branco altri prede solitarie che non sanno mai se arriveranno a fine giornata. In una fotografia fermi un’immagine che domani ti sembrerà la stessa ma non lo è. Una volta un mio amico sub professionista, guardando una mia foto disse: “Bella, complimenti: sembra scattata domani”.
Il sasso doveva essere di circa due o tre kg e di forma adatta per potere poi essere stretto da un nodo “a quattro” che non gli permettesse di perdersi sul fondo del mare. La cimetta, segnata ogni cinque metri, era lunga al massimo venti. In alto, per farla galleggiare, papà legava un grosso salvagente di legno di quelli che oggi spesso vedi gettati nelle navi in disuso. Questa era l’attrezzatura con la quale già a cinque/sei anni mi immergevo con lui nelle acque del Circeo, dove c’era il paradiso. Mio padre vecchio marinaio mi insegnò che sotto era meglio di sopra. Le granseole dovevi scansarle, cosi come tutta la fauna ittica presente all’epoca nel nostro mare. Sono passate molte decine di anni e l’uomo ha fatto il resto: il clima e la pesca selvaggia hanno ridotto il nostro mare e quasi tutti quelli del mondo in un deserto ittico e strutturale che oggi è difficile pensare possa tornare quello di prima.La vita è stata buona con me. Sono riuscito a immergermi tra vacanze e lavoro in metà dei mari del mondo. I ricordi più belli? I calamari giganti a Lizard Island in Australia, lo squalo bianco e i tigre in Sudafrica, Anemon Tilla a nord delle Maldive, il paradiso degli anemoni, le mante a Baa, il dugongo a pochi metri dalla riva a Marsa Alam. Ogni volta è come se fosse la prima; peccato che ogni volta sei costretto a ricordarti la precedente perché i modelli da fotografare sono sempre più rari.La fotografia subacquea è arte allo stato puro, io sono solo un dilettante passionale, non è il mio lavoro, ma ogni foto ben riuscita è come se avessi vinto un premio, lo consegno e lo ritiro, tutto da solo. Poi la passione diventa follia da onanismo mentale.Mi ero messo in testa di fare la foto perfetta di un pesce pagliaccio che al centro del suo anemone sembrasse guardare in camera. Mi sono immerso tre giorni di seguito a una decina di metri nell’atollo di Lhaviyani a nord delle Maldive, fermandomi davanti a all’anemone prescelto e per un’ora alla volta ho scattato circa 700 foto cercando di fermare l’immagine che cercavo. Alla fine tra tutte quelle foto l’ho trovata e ancora oggi è la mia più amata.Una cosa ho imparato dalla fotografia subacquea: non avere paura degli squali, non siamo cibo per loro, a meno che non siano spaventati o incuriositi per cui possono reagire a una tua reazione.In tante immersioni ho subito una sola volta l’attacco di uno squalo, mentre risalivo in pochi metri d’acqua. Ero con il mio amico Giovanni e due “grigi” in caccia ci attaccarono contemporaneamente. Una macchina fotografica sul muso e hanno abbandonato il campo. Un uomo, di certo, non userebbela stessa cortesia.