di GIANMARCO DI TRAGLIA
Intervista a Francesco Pezzulli
Come hai cominciato a muovere i primi passi nel mondo del doppiaggio?
Quando ero piccolo mio fratello maggiore faceva l’attore. Un giorno l’ho accompagnato a un provino e hanno preso anche me. Era una serie per la Rai e quando andò in onda mi ritrovai in video ma doppiato. Mia madre, firmando la liberatoria, aveva acconsentito involontariamente a questa clausola. Per la seconda stagione, però, mia madre non volle firmare e io imparai a recitare. Più in là andai in tournée in teatro per circa due anni, un’esperienza estremamente formativa a livello professionale e umano ma stancante, quindi successivamente mi sono buttato solamente sul doppiaggio (che comunque praticavo saltuariamente in concomitanza con il teatro). La prima volta che ho doppiato Leonardo DiCaprio è stato per la serie “Genitori in blue jeans”, poi l’ho ripreso “Romeo + Giulietta di William Shakespeare” con la direzione di Tonino Accolla.
Più che per DiCaprio, io ti riconosco in quanto voce ufficiale di Radio Deejay: com’è iniziata la collaborazione?
Cinque anni fa Linus contattò Riccardo Rossi, voce di Radio Capital (entrambe facenti parte del gruppo L’Espresso, assieme a M2O) alla ricerca di una voce giovanile che potesse dare un’identità alla radio, riconoscibile per il suo target di ascolto. Assieme ad altri sono stato provinato anche io e Linus alla fine ha scelto me. Un giorno sono andato alla sede di Roma a incidere il jingle e il Trio Medusa aveva da poco concluso la puntata: mi hanno sentito e hanno riconosciuto la mia voce, e da quel momento abbiamo cominciato a collaborare – a giocare e divertirci, in realtà – insieme. In maniera spontanea. Ecco l’importanza di avere una voce ufficiale e riconoscibile per la radio. Del resto, quando sei abituato a sentire una voce per anni, ne diventi amico.
Mi torna alla mente una scena memorabile di “Shutter Island” di Scorsese. DiCaprio torna a casa e trova i cadaveri dei figli nel lago. Si tuffa in acqua per prenderli e grida, straziato dal dolore. Ecco, in quel momento pensavo a te, a ricreare questo frangente così drammatico e forte, al buio, in piedi davanti a un leggio, con una cuffia alle orecchie. Come si crea una scena del genere in queste condizioni?
Il doppiaggio è lavorare su un’emozione ricreandone un’altra che sia il più possibile fedele. La chiave dunque non è nel metodo, nella tecnica, ma nell’emozione. Bisogna lavorare sull’apertura dei nostri “cassetti” emozionali. Faccio un esempio: la risata altro non è che un colpo di tosse. Si producono dei colpi di tosse ai quali viene tolto il fiato. Così si ottiene una risata tecnica. Poi c’è chi, come Tonino Accolla, riesce a ridere di cuore, con gioia, scatenando un’emozione e contagiando lo spettatore. È tutto lì, quello è il segreto del doppiaggio.
Un ragazzo che voglia emergere nel doppiaggio cosa deve fare?
Oggi non hai più la possibilità di entrare in sala di doppiaggio come un tempo. La gran parte dei film sono blindati anche per noi doppiatori. “Inception” di Nolan l’ho doppiato guardando un monitor con le immagini in bianco e nero sfocato e criptato molto spesso. I direttori di doppiaggio firmano un contratto di riservatezza per evitare ogni sorta di fuga di notizie. Poi, per quanto riguarda le scuole di doppiaggio, possono essere utili a imparare una tecnica, se fatte bene. Trovare la sicurezza, togliere un dialetto… Sicuramente non per trovare lavoro. Io consiglio un corso di teatro più che di doppiaggio. Ciò che manca a questi corsi è una selezione. Questa mancanza fa sembrare che il tutto sia fatto a puro scopo di lucro. In generale, comunque, in alcuni casi può essere utile e stimolante ma va detto che l’allievo fenomeno emerge anche senza il corso di doppiaggio.