È CAPITATO A CIASCUNO DI NOI E CAPITERÀ ANCORA. A VOLTE ACCADE DI INCONTRARE UN PROFESSORE, O UNA PROFESSORESSA, IN GRADO NON SOLO DI TRASMETTERCI LE NOZIONI DELLA DISCIPLINA CHE INSEGNA, MA ANCHE, E SOPRATTUTTO, DI STIMOLARE LA NOSTRA CURIOSITÀ, LA VOGLIA DI CRESCERE E DI OTTENERE I VOTI MIGLIORI NELLA MATERIA CHE TUTTI ABBIAMO NEL PIANO DI STUDI: LA VITA. OGGI TOCCA A ALESSANDRO TERZO.
di MARIA CRISTINA DEL CUORE
“Dare forma A UN’IDEA”
Il professor Terzo si mostra immediatamente molto aperto e desideroso di parlare dei suoi ragazzi. Inevitabilmente, però, la nostra intervista parte dall’eccessiva burocrazia che accompagna la vita di ogni insegnante che si rispetti.
Sì, in effetti siamo spesso chiamati alla compilazione di molti moduli e documenti che, ahimè, sottraggono tempo al lavoro didattico. Non è assolutamente una critica, questa, ma forse ci sarebbe bisogno di diversificare “le regole” da istituto a istituto, in base all’indirizzo e ai bisogni degli studenti.
Fatte le dovute premesse, entriamo nel vivo dell’intervista. Come è iniziato il suo lavoro di insegnante?
Dopo aver scoperto il mio amore per la scultura ho iniziato a fare delle supplenze, anche a Roma, e da lì in poi ho continuato, fino a quando ho vinto un concorso che mi ha consentito di avere una cattedra in un liceo artistico, proprio nella capitale. Il mio amore per questa città mi ha ripagato; anche la passione per il mio lavoro, a dire il vero.
L’insegnamento è un mondo a sé e, per come la vedo io, ci rende quasi immortali.
A pensarci bene, in effetti, ognuno di noi ha un ricordo, una memoria di almeno un insegnante che ha incontrato nel percorso della propria vita scolastica.
Può essere un ricordo positivo (quel prof che ti ha indicato la strada da percorrere, che ti ha affascinato per come parlava, che ti ha fatto amare una materia che odiavi), o anche negativo, ma è pur sempre impresso nella tua memoria e in qualche modo ti ha segnato. In questo senso diventa una persona immortale.
E il prof Terzo che tipo di insegnante è?
Un insegnante che cresce insieme ai suoi studenti. Non sono così anziano da non ricordare come si stava dall’altra parte della cattedra ed è questo che mi dà la misura di come dovrei o non dovrei essere. Bisognerebbe avere sempre la capacità di capire chi hai di fronte. Ognuno ha la sua chiave e tu devi riuscire ad aprire quella porta, entrare in sintonia. Il bello è proprio questo: ognuno di loro è unico e il mio compito, la mia capacità, è dare forma a ciò che i miei studenti hanno in testa.
Nel suo caso è letteralmente così, visto la materia che insegna.
(Ride n.d.r) Non è sempre facile riconoscere il talento in ogni singolo ragazzo e ragazza. Adoro lavorare insieme a loro e mettermi in discussione. Anche per quelli di loro che hanno meno capacità, prima o poi, comunque, qualcosa arriva, in termini di risultati creativi. Cerco sempre di coinvolgerli anche in progetti che mi vengono proposti fuori dall’ambiente scolastico. È importante farli sentire parte di qualcosa. Io stesso mi sento più a mio agio quando lavoro con loro. Siamo una sorta di supereroi.
Un sogno nel cassetto?
Creare una sorta di Factory con i miei studenti in cui poter condividere il lavoro con loro, realizzare progetti. Recentemente abbiamo realizzato delle scenografie con materiali completamente riciclati, abbiamo recuperato oggetti apparentemente inutilizzati. Ecco, questo mi piacerebbe fare.
La scultura è come avere in mano un diamante grezzo e trasformarlo in oggetto prezioso; loro, i miei studenti, sono i miei diamanti (che fa anche rima – Ridendo n.d.r.).