EVENTS&FRIENDS: “Movida 1.0”

Movida 1.0:

COS’ABBIAMO GUADAGNATO, COS’ABBIAMO PERSO

ENTRARE IN UN LOCALE PERCHÉ CE L’HA CONSIGLIATO L’AMICO DI SEMPRE. SCEGLIERE DI MANGIARE IN QUEL RISTORANTE PERCHÉ CONOSCIAMO IL PROPRIETARIO DA SECOLI… OPPURE? OPPURE SIAMO QUI, SEDUTI A QUESTO TAVOLO, PERCHÉ “CE L’HA DETTO” INSTAGRAM O PERCHÉ SU FACEBOOK C’ERANO MILLE LIKE POSTATI DA CHI SE NE INTENDE (FORSE). IL PR IN CARNE ED OSSA E QUELLO VIRTUALE. MEGLIO IERI O MEGLIO OGGI? VEDIAMO.

di ROBERTO FANTAUZZI

La movida che c’era e quella che c’è. Negli Anni 80, 90 e 2000, le serate si accendevano grazie a tre ingredienti fondamentali: le persone, il calore dell’invito e il “peso” dei partecipanti. Un peso direttamente proporzionale al carisma del Pr o del gestore del locale/ evento. Già, una volta era così: si sceglieva “quel” posto, “quella” serata, “quel” sapore perché sceglievamo la persona. Se lo dice lui… Se m’ha invitato lei… Lui e lei, oggi, dove sono? Come si chiamano? Che faccia hanno? Una volta bisognava mettercela, la faccia. Faccia e nome; il ristorante, per esempio, si chiamava come chi lo gestiva: “Stasera si va da Italo”; “Hai mai mangiato da Filippo…?”. Poi, è vero, il locale aveva anche un “cognome” (Caminetto, Scala, Glicine, Grappolo e via inventando). Ma il nome di “lui” (o “lei”) era quello che faceva la differenza; differenza e pienone”. Il locale viveva solo se “lui” e/o “lei” stavano dentro a fare gli onori di casa. Andiamo a mangiare da Alfredo? Ottima scelta; ma non dimentichiamo

prima, dopo e durante il pasto di fare due chiacchiere con Alfredo: lui ci conosce da una vita, conosce i nostri amici ed i nostri gusti. No basta, andiamo da Luigi. E Luigi, puntualmente, lo troveremo in prima fila, pronto alla battuta su misura per noi; perché ci conosce da secoli (o quantomeno ce lo fa credere). Non poteva succedere che il ristoratore fosse fuori dal ristorante; perché gli Alfredo, i Luigi, i Mario, gli Italo erano i tavoli, erano i piatti, erano i camerieri efficienti, erano le luci, erano tutto. Senza la persona niente ristorante, niente evento, niente notte. Fin qui la storia: perché son passati vent’anni e anche di più. La storia continua a scorrere inarrestabile e, con lei, cambia la… geografia. Intendo quella delle strade affollate dalla movida romana: ieri quella piazza, oggi quella strada. Ieri Roma nord e centro storico, oggi Trastevere, domani Ostiense poi di nuovo Parioli, poi “nord ma non troppo”, poi… Poi gli inviti; e le persone che non si vedono più, perché nascoste dietro al mouse o dietro il “touch” dello smartphone. Ci sono ancora, le persone; ci sono i Pr e ci sono pure – ovviamente – i patron dei ristoranti. Ma non si vedono; Perché è cambiato “l’ingaggio”. Perché siamo già alla movida “2.0”. C’è il format, che oggi prevale sulla persona. Prima la bottega poi il bottegaio, insomma. Meglio oggi? Meglio ieri? Non era meglio ieri e non è meglio oggi. Perché ieri (e oggi) dipendeva e dipende sempre e solo dalle persone. Che si vedano o non si vedano sono sempre i “lui” e i “lei” che regolano la movida; quella con la M maiuscola. Quella da raccontare e ricordare. Una volta il passaparola, oggi i social. A tal proposito cito il libro di Andy Sernovitz del 2006 “Word of mouth” (L’arte del passaparola). Pagine e pagine nelle quali si sostiene che la forza di un consiglio a quattr’occhi, di una parola “in carne ed ossa” sia ben più incisiva di una pubblicità, di una foto, di uno spot (o, oggi, di un post o di mille like). Poi cos’è successo? È successo (l’ho già detto), che la storia va avanti e che c’è chi è riuscito, con i nuovi format, a far comunque pesare il carisma personale. “Lui” c’è, non si vede ma sappiamo che c’è. Lui garantisce.
Uno di questi “Lui” si chiama Luca Pavoni emblema dell’evoluzione della specie, prima ancora che la specie sia estinta! Due/tre generazioni sulle spalle dello stesso uomo… Luca ieri era il re incontrastato della pacca sulla spalla e del baciamano alle signore. La serata, il locale, tutto girava attorno a lui; se lui non c’era, non c’era più la notte. Niente menu, niente saluti, niente di niente. Luca e il “Number One”, Luca e il “Bella Blu”, Luca e il “rHome” Luca e la notte, Luca, i Vip e i “Nip” (not important person) che volevano e dovevano farsi vedere dalle sue parti… Oggi lui è il primo che pubblica foto professionali dei piatti serviti nel suo ristorante su Instagram, su Facebook, avvalendosi di una Web agency all’avanguardia. Luca e la sua “Luna – Osteria di quartiere” a piazza Jacini. Luca è cambiato? Ha rinnegato se stesso? No: Luca, semplicemente, ha saputo mettere la sua esperienza, la sua capacità al servizio del XXI Secolo.
La storia va avanti ma le persone contano ancora.
Luca, come invitavi la gente nell’era pre-Internet e pre-cellulari?
“La mia, la nostra “mailing list” era un quadernone contenente 200/300 nomi. Al tempo del “Number One” (1978/82) si dovevano contattare le persone a casa, una per una (vietate ore pasti, era maleducatissimo…!). Una volta, non sapendo come riempire il locale, chiesi ad un amico titolare di un autonoleggio di parcheggiare decine di auto nei paraggi. Chiudemmo la porta, chi bussava allo spioncino veniva respinto: “Niente da fare, non c’è più posto…”. Le sere seguenti facemmo il pieno. Un escamotage più che artigianale”.
L’abbraccio più caloroso che ricordi?
“Fu quello con Dustin Hoffman. Sua figlia, a Roma con lui, aveva un problema; problema che io risolsi. Un abbraccio sincero: facile immaginare che una star di quel calibro potesse pensare che tutto gli è dovuto, che lui è lui e quindi… Invece durante quei lunghissimi secondi sentii tutto il calore della sua autentica gratitudine”.
Luca Pavoni ieri e oggi: cosa è cambiato in lui e nella movida “Capitale”?
“Molto è cambiato; anche in peggio, se vogliamo. Un tempo, tanto per fare un esempio, se uscivi con una donna la portavi a cena perché tenevi a lei, ti interessava qualcosa di lei; amore o piacevole intrattenimento o altro, ma tant’è. Oggi la porti con te solo per “apparire”, per entrare in una lista. Oggi lei, domani un’altra… Per non parlare della ristorazione: ci si siede in un locale non perché si mangi bene, ma perché è quello che “tira” al momento. I primi, i secondi, il vino basta che siano trendy, il sapore non conta. Io invece, tengo ancora che chi viene da me scelga quel che gli va di mangiare. Il cibo, i piatti devono parlare prima al palato, poi agli occhi; ma questa regola, purtroppo, viene spesso e volentieri “invertita””.
Spesso e volentieri si, ma non da Luna. Nella mia Osteria l’apparenza “non salta più la fila”.

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