Ogni giorno, da quando è nato l’uomo, ci chiediamo se sia possibile creare una società ideale, dove vige la pace e dove si vive in armonia. Ma se vogliamo vederla in termini politici, gli storici e i filosofi ci hanno insegnato che l’ideale non esiste e pertanto la democrazia dovrebbe rappresentare il male minore. Male minore, perché l’ideale sarebbe invece quello di essere governati da sapienti e uomini illuminati, mentre invece la democrazia dà voce a tutti: istruiti e ignoranti, persone buone e persone malvagie, altruiste ed egoiste. E se vediamo calare vertiginosamente la presenza alle urne durante le votazioni nei vari Paesi democratici, è perché ormai la percezione comune è che votare non serva a nulla, perché (sempre nel pensiero comune) tanto chi va al governo penserà solo a rubare e ad arricchirsi sulle spalle dei cittadini. C’è poi la convinzione che, se una brava persona volesse andare al potere, gli sarebbe negato per evitare agli attuali governanti di perdere quei privilegi che si sono costruiti nel tempo.
Succede lo stesso nel mondo del lavoro, dove troviamo persone che mirano a ruoli dirigenziali non per il bene dell’azienda, ma per loro stessi; e a volte accade anche nei rapporti umani, dove abbiamo difficoltà a trovare amici veri, perché sembra sempre che prevalga l’egoismo e l’invidia, che regolarmente rendono le relazioni personali complicate e sempre sul piede di guerra. Una guerra ovunque, insomma. Politicamente stiamo rischiando la Terza guerra mondiale; professionalmente ci troviamo già in guerra, per non parlare dei conflitti con amici, familiari e parenti.
Ma perché tutto questo? Fa parte della natura umana? Eppure, al contrario, spesso vediamo persone che vogliono la pace, e non sono poche, e che aiutano senza chiedere nulla in cambio; politicamente, nella storia passata, ci sono stati individui di grande virtù, che hanno dato la vita pur di migliorare le cose per gli altri. I dubbi aumentano… Ma la domanda più grande che mi sono posto è se si nasce buoni o ci si diventa: perché nel primo caso dovremmo accettare questo stato naturale fatto anche di guerre, mentre nel secondo potremmo realmente sperare in un mondo migliore. Tempo fa lessi uno scritto: “L’essere umano tende a vedere gli altri come rivali o minaccia quando condividono lo stesso obiettivo. Quando, al contrario, si riesce a vederli come alleati, aumentano le probabilità di riuscita per le varie parti.”
Il primo caso avviene quando l’uomo tende a imporsi in modo competitivo, dove la sconfitta dell’altro diventa quasi più importante della propria vittoria. Competitivo… ma rispetto a chi? Una piccola parentesi di attualità da poco vissuta ci aiuta a capire. Prendiamo il caso di Imane Khelif: durante queste ultime Olimpiadi, sull’atleta algerina si è accesa una lunga discussione in merito al fatto che, chi la definiva fisicamente maschio, sosteneva che non avrebbe dovuto competere con una donna, a prescindere dal suo cambiamento. Al di là dei fatti e delle considerazioni che ognuno di noi può avere sul caso, siamo tutti d’accordo che, se esistono le categorie specifiche, è per rendere la competizione alla pari. Competizione alla pari, questa è la chiave di tutto! Mi chiedo allora: come possiamo competere tra persone, visto che siamo tutti diversi? Analizziamo i casi tra persone e Stati diversi…Vediamo i risultati di questo modo folle di intendere la vita. Ci sono Paesi molto competitivi nella vendita dei prodotti o nell’abbigliamento ad esempio, quindi più competenti. Certo, ma sappiamo che spesso hanno prezzi più bassi per via di costi più bassi derivanti dallo sfruttamento sul lavoro, che negli altri Stati “diversi” è vietato… facile così. Allo stesso modo, è facile competere con i soldi con chi è meno facoltoso di noi… e questa competizione ci porta sempre ad essere più insoddisfatti, perché nelle diversità di tutti c’è sempre qualcuno migliore o peggiore, più bello o più brutto o più ricco o più povero di noi. E nel mondo moderno, concepito in modo competitivo, conviene sempre far notare ai più deboli la propria debolezza, e distruggere o “mostrificare” chi è o ha più di noi. E la guerra è fatta!
Ma non possiamo ignorare che la competizione sia basilare per la nostra crescita. E quindi: con chi dovremmo competere? Forse, penso, dovremmo insegnare ai nostri figli a collaborare e non a competere; chi ha una capacità maggiore nell’ambito manuale, deve collaborare con chi ce l’ha nell’ambito manageriale. E se uno è più ricco, allora deve aiutare l’economia del più povero, e se è più bello ci fa godere solo nell’ammirarlo! Così tutto serve, e ogni diversità aiuta all’accrescimento degli altri. Perché un architetto senza il muratore non può lavorare; e, se nella dinamica della competizione nessuno vuole che il figlio faccia il muratore anche se quella era la sua attitudine o aspirazione, ecco che ci troviamo uniformati in un mondo dove nessuno può servire all’altro. Esattamente come nella società attuale piena di laureati, in cui non c’è più chi ambisce ai lavori manuali! Bisogna per questo insegnare ai giovani a competere solo con chi è identico a sé, e quindi solo con se stesso. L’obiettivo di ognuno di noi deve essere migliorarci ogni giorno in ciò che sappiamo fare e crescere rispetto a noi stessi, perché se continuiamo a insegnare alle nuove generazioni la competizione i nostri ragazzi saranno sempre infelici. Perché, come detto, ci sarà sempre chi è più bello, più ricco e più fortunato di noi… e la guerra è fatta.