EDITORIALE: LA NOSTRA PICCOLA GRANDE CAMERA DA LETTO

Eh sì: partiamo proprio dalla nostra camera da letto. Perché è proprio lei, culla per eccellenza della nostra intimità, che ci aiuta a capire il modo giusto per arrivare alla felicità. E’ lei la nostra tana, la nostra cuccia, il luogo che, da quando siamo nati, abbiamo desiderato che fosse a nostra immagine e somiglianza. Ed è sempre lei il luogo che abbiamo sempre difeso, non concedendo a nessuno di entrarci senza il nostro permesso. E’ il luogo sacro dove ci cambiamo, riposiamo, sognano, ci rinchiudiamo quando stiamo male e dove, quando troviamo la persona giusta, condividiamo la vita, i sogni, i progetti e ci facciamo l’amore.

E’ la nostra casa nella casa della famiglia e da quando la conquistiamo, non vediamo l’ora di personalizzarla. Diversa dalle altre perché… siamo tutti diversi! Iniziamo da piccoli riempiendola di poster di icone o di passioni. C’è chi abbina le coperte alle tende, chi la rende romantica, chi moderna e chi dark e, diversa che sia, ci piace da morire! Poi si cresce e cominciamo a vedere le case degli altri, con camere da letto da editoriali di architettura e design e, pur di avere la camera più bella, la spogliamo di tutta la nostra intimità e la trasformiamo nella camera più stereotipata del mondo. Quella che pensiamo debba piacere agli altri, ma non a noi.Col risultato che spesso perdiamo il piacere di starci. Ed è proprio in quel momento che perdiamo di vista noi stessi, cominciando a vivere nella speranza di fare soldi per avere quella casa perfetta con quella camera da Grand Hotel. Che però non è davvero la nostra. Perché non ci somiglia affatto!

E così dalla camera alla nostra auto, dalle mete delle vacanze alle amicizie. Tutto si spersonalizza, tutto lo si fa in virtù di cosa pensiamo possa piacere agli altri. E alla fine, senza neanche accorgercene, cominciamo a vivere che non è fino in fondo la nostra solo per ottenere ciò che non possediamo. E macchina dopo macchina, casa dopo casa, viviamo alla costante ricerca di quel sogno che poi infondo non era mai stato il nostro, senza più essere felici come quando avevamo la nostra cameretta di infanzia o la nostra prima automobile. A tal proposito uno dei più grandi filosofi, nonché regista ed attore italiano Luciano De Crescenzo disse in uno dei suoi film: “Per essere felici bisogna saper vivere il presente”. Quando il presente non c’è, non si è felici. Tutti sono capaci di dire come ero felice quando avevo 20 anni… Che poi non è manco vero, perché non si era affatto felici a 20 anni. Tutti sono capaci di vivere proiettandosi nel futuro: farò, andrò, dirò… Il saggio invece, è colui che realizza il presente.

Il saggio è colui che quando ha sete beve, sente l’acqua fresca che gli scende per la gola e pensa: “Oh quanto è bello bere”. Il saggio è colui che quando ha fame mangia, e mentre mangia pensa: “oh quanto è bello mangiare”.
Come diceva Hegel? “Il tempo è l’essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è”. Il tempo, è un’emozione, ed è una grandezza bidimensionale nel senso che lo puoi vivere in due dimensioni diverse: In lunghezza ed in larghezza. Se lo si vive in lunghezza, in modo monotono, sempre uguale, dopo 60 anni, si avranno 60 anni. Se invece lo si vive in larghezza, con alti e bassi, innamorandoti, magari facendo pure qualche sciocchezza, allora dopo 60 anni hai solo 30 anni. Il segreto per essere felici lo si vede soprattutto dalla nostra dimora, nel renderla propria a prescindere da quella che avevamo e da quella che potremmo avere in futuro. E piuttosto che abbandonarla sperando in una diversa, dobbiamo dedicare le nostre risorse per farla esattamente come volevamo noi.

Cosa abbiamo oggi? Poco? Molto? Non ha importanza perché è relativo. C’è sempre chi ha più o meno di noi, chi è meglio o peggio.
Ma non importa. L’unica cosa che conta è rendere quello che abbiamo speciale, e farlo qui ed ora. Perché, come dice la canzone, la vita è adesso. Purtroppo, parafrasando ancora De Crescenzo, “Il guaio è che gli uomini studiano come allungare la vita quando invece bisognerebbe allargarla”.

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