È capitato a ciascuno di noi e capiterà ancora. Capita di incontrare un professore, o una professoressa, in grado non solo di trasmetterci le nozioni della disciplina che insegna ma capace, soprattutto, di stimolare la nostra curiosità, la nostra voglia di crescere e di ottenere i voti migliori nella materia che tutti abbiamo nel piano di studi: la vita.
Non siamo in Questura ma a scuola: qui si deve catturare l’attenzione dei ragazzi, come ci spiega il professor Arlechino, che insegna storia e filosofia presso l’Istituto Aurelia Fevola in quel di Ponte Milvio. “Oggi gli under 20 si aggrappano al presente perché il futuro non riescono neppure a immaginarlo. Ma la curiosità prima o poi prende il sopravvento: siamo noi insegnanti dobbiamo “segnare” la strada, stimolando e nutrendo quella fantasia che abita ogni studente”.
A Roma Nord tutti conoscono il/la Fevola. Si tratta, anche, di una scuola cosiddetta “di recupero”: ci si va, ci si andava per riprendersi l’anno… perduto.
Professore, la sua è una cattedra o una trincea?
“Chiariamo subito che essere respinti non è un marchio d’infamia e può capitare a chiunque. Capita, per esempio, a chi vive un grande problema familiare, un lutto, o è costretto ad uno “stop” per svariate circostanze. I “somari” non esistono: esistono ragazzi e ragazze con mille storie diverse. Detto ciò non nego che ci sono volte in cui, più che un soldato, mi sento un domatore di leoni…”
Ragazzi (e leoni) che l’hanno scelta come “capitano” …
“Le mie materie si prestano facilmente a non essere guardate solo come un insieme di dati poco accattivanti. La storia siamo noi, sono i nostri fratelli più grandi, i nostri nonni, le nostre città. La filosofia? Ancora noi, la nostra voglia di capire, capirci, cercare di dare un briciolo di senso a tutto questo gran casino che chiamiamo “vita”. Tutto questo, con il giusto approccio, stimola in chiunque la curiosità; e l’amore: innamorarsi della materia. Succede; e succederà”.
Oggi siamo tutti iperconnessi: qualsiasi risposta, apparentemente, si ottiene con un “click”. Come si fa a mantenere viva l’attenzione degli studenti con i vecchi sistemi?
“Non è il caso di parlare di sistemi vecchi e nuovi: gli strumenti vanno intrecciati, fusi insieme. Si usa la lavagna ma si usano anche le risorse di Internet. L’importante è fornire ai ragazzi la capacità di navigare con consapevolezza e non cadere nella trappola per cui la Rete è infallibile e insindacabile. Certo, oggi è più difficile convincere un sedicenne a leggere un libro, convincerlo che un romanzo potrà regalargli emozioni, gioia, lacrime… Ma non è impossibile, anche con chi vede il libro come una “roba” da sfigati”.
Quindi ci si può chinare sui libri, almeno per studiare?
“Certo, anche oggi. Poi, ovviamente, si integra con la tastiera e con il “touch” dello smartphone. Ma una tesina svolta con il classico “copia/incolla” non ha speranze di passare come… inedita. Il prof se ne accorge e i ragazzi lo sanno; ma, ripeto, anche la Rete oggi è benvenuta tra i banchi”.
Cosa vogliono fare “da grandi” gli studenti di oggi? Come immaginano il loro futuro?
“Questa è una generazione profondamente nichilista. La maggior parte dei ragazzi che ho avuto vedono il futuro come una minaccia: cercano di guardarlo solo di sfuggita, abbassando gli occhi. Perché non lo vedono o, meglio, vedono il nulla. E quando dico nulla intendo i call center, il precariato, i contratti parasubordinati e, più in generale, l’impossibilità di mantenere lo status sociale dei propri genitori. Questa generazione sogna poco, molto meno delle precedenti”.
Sono più “svegli” dei loro padri e dei loro fratelli maggiori gli adolescenti di oggi?
“Sono molto più avanti a livello pratico, meno “tonti” di chi li ha preceduti anche nelle relazioni sociali. Vanno a la velocità dei “social”. La velocità, tuttavia, non è sempre un vantaggio, così come essere “social” non è sinonimo di saper vivere con gli altri. Il problema di molti è l’analfabetismo emotivo; l’ho già detto prima: la letteratura, molto più del cinema, di internet o della tv, penetra dentro di noi. Non tutti, tra loro, ne godono. Si tratta di coltivare la “lentezza”: se hai letto “Delitto e castigo” comprendi meglio il “tuo” senso di colpa, così come se hai letto “La morte di Ivan Il’ic” puoi meglio interrogarti sul senso della vita. Volendo essere più attuali, credo che leggendo “Sharantam” si vivano emozioni più intense di quanto si possa fare vedendo Gomorra o Romanzo criminale. Dunque la ricetta è una, per banale che possa sembrare: stimolare i ragazzi alla lettura; qualunque lettura, non per forza i classici”.
Pianeta scuola: cosa non ha fatto la politica per renderlo più confortevole o comunque… abitabile?
“La scuola è vista troppo come un’azienda; lo si percepisce anche dal linguaggio: debito, credito… Ma tra i banchi non si deve “produrre”, non si deve mirare all’utile nel senso finanziario del termine. La scuola è di per sé utile, indispensabile: per crescere, per imparare a camminare nel mondo con coraggio e tanta, tantissima curiosità”.